Tesi di Laurea I Distretti di Economia Solidale

16 Aprile 2014
Tesi di Laurea I Distretti di Economia Solidale

 

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

Corso di Laurea in Economia e Gestione delle Imprese edegli Intermediari Finanziari

I DISTRETTI DI ECONOMIA SOLIDALE:

 ANALISI DELLE NUOVE REALTÀ

Relatore: Chiar.mo Prof. Giovanni Masino

Laureando: Nicola Oselladore

Anno Accademico 2004 - 2005

 

INDICE

 

INTRODUZIONE 

Capitolo I 

IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

1.1 Definizione e motivi di un commercio equo e solidale                                       

1.2 Obiettivi, criteri e soggetti coinvolti                                                                   

Capitolo II

I DISTRETTI DI ECONOMIA SOLIDALE   

2.1 Perché progetto DES                                                                                         

2.2 Percorso verso le Reti di Economia Solidale                                                      

2.3 Che cos’è progetto DES                                                                                     

2.4 Principi e criteri dei DES                                                                                    

2.5 Soggetti promotori e attività dei DES                                                                

2.6 Come si finanzia un DES                                                                                    

2.7 Punti di forza e di debolezza dei DES                                                               

2.8 Gli attori del mondo etico                                                                                 

Capitolo III

UN CASO CONCRETO: IL DES DI TORINO                       

3.1 I progetti in corso in Italia                                                                                  

3.2 Sviluppo del Distretto di Economia Solidale di Torino                                     

3.3 Programma di lavoro del DESTO                                                                      

3.4 I partner, i rispettivi ruoli e la percentuale di budget all’interno del distretto    

Capitolo IV

CONFRONTO CON I DISTRETTI INDUSTRIALI              

4.1 Analisi situazione Distretti tradizionali                                                               

4.2 Rimedi possibili per i distretti                                                                             

4.3 Confronto fra i due tipi di distretto                                                                    

CONCLUSIONI                                                                                                           

BIBLIOGRAFIA                                                                                                          

 

INTRODUZIONE

Al termine del mio corso di studi universitari ho deciso di svolgere una tesi su un tema economico di attualità e dopo alcune ricerche ho deciso di affrontare il tema dei Distretti di Economia Solidale.

I DES sono la risposta italiana all’evoluzione del commercio equo e solidale Italiano e stanno per essere istituiti in questo periodo nel nostro paese.

L’esperienza del Commercio Equo e Solidale (CEeS) nasce all’incirca quarant’anni fa quando, in una piccola città olandese, un gruppo di giovani inaugura la prima world shop (Bottega del Mondo, Bdm), senza immaginare quale straordinario sviluppo avrebbe avuto il movimento del fair trade (tradotto in italiano Commercio Equo e Solidale) negli anni successivi, fino a oggi.

Gli obiettivi che, ancora oggi, guidano l’azione del CEeS sono quelli di creare maggiore equità all’interno del commercio mondiale, dando così la possibilità ai soggetti più svantaggiati di poter entrare a far parte del sistema, cosicché possano loro stessi svilupparsi e dotarsi di un sistema economico sano ed efficiente che dia loro la capacità di uscire da una povertà che in alcuni casi ne mina addirittura la sopravvivenza.

Questo tipo di commercio è nato in Italia solo negli anni ottanta, per questo motivo il nostro paese in questo campo ha vissuto uno sviluppo meno rapido, ma non per questo ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata.

Il punto è che con il nuovo millennio si sono aperti scenari diversi e molteplici; al commercio equo infatti appartiene ormai un ventaglio enorme di prodotti, circa settemila, e per questo motivo ormai le botteghe del mondo, che sono sparse in tutta Europa, non ce la fanno più a garantire lo sviluppo di questo commercio, il quale negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo incredibile.

Per questo motivo i principali attori di questo settore, grazie a Rete Lilliput, Gas, ecc, hanno pensato che se veramente cerchiamo uno sviluppo importante e significativo di questa realtà economica bisogna fare il salto di qualità, cioè bisogna uscire dallo stereotipo delle botteghe (che in questi anni sono state l’unico sbocco economico per i prodotti dell’economia solidale), bisogna lanciarsi in un progetto su larga scala che dia la possibilità al commercio equo di aumentare il proprio peso e la propria rilevanza, e dunque di diffondere il più possibile i valori e gli ideali del CEeS, e dia così la possibilità al mondo di commerciare attraverso l’uso di principi equi e solidali.

L’Italia dunque risponde al bisogno di ampliamento del mercato attraverso l’istituzione dei distretti di economia solidale, il quale prende spunto dai nostri distretti industriali, i quali sono un’organizzazione economica tipica italiana, che ci ha fatto distinguere nel mondo attraverso il Made in Italy.

Questi però negli ultimi anni stanno avendo un momento di forte decrescita a causa del cambiamento delle regole economiche e della depressione che sta attraversando il nostro paese, anche in questo senso i DES potrebbero rappresentare uno strumento interessante al fine di valorizzare e se possibile rilanciare la struttura distrettuale della nostra economia.

Quindi nello sviluppare questa mia idea cercherò di analizzare i DES evidenziandone le caratteristiche principali e gli obiettivi, analizzerò inoltre alcuni fra i possibili collegamenti individuabili tra i distretti tradizionali, in particolare in questo periodo di difficoltà, e una nuova idea di distretto rappresentata dai DES.

Dal punto di vista metodologico, oltre allo studio e alla rielaborazione della letteratura in materia, la ricerca è stata integrata e approfondita attraverso la partecipazione di convegni che mi hanno dato la possibilità di poter conoscere persone che stanno lavorando per la realizzazione di queste realtà sociali, le quali hanno aiutato lo sviluppo delle idee e la comprensione dell’argomento trattato.

Per questo motivo mi sento di dover ringraziare Davide Guidi ed il Professore Mauro Bonaiuti che hanno fatto si che questo lavoro divenisse non solo una ricerca prettamente improntata sullo studio bibliografico, ma anche un lavoro di approfondimento.

Nella prima parte viene dunque analizzato il commercio equo e solidale, questo con lo scopo di dare la possibilità al lettore di comprendere a fondo il campo d’azione in cui operano i distretti industriali.

Nella seconda parte invece si è voluto analizzare nel dettaglio la realtà costituita dai DES, partendo dalle loro caratteristiche teoriche sino ad arrivare a raccontare nello specifico un caso concreto, il quale ha lo scopo di far capire ancora più approfonditamente gli scopi e le finalità del movimento delle reti.

Nell’ultima parte infine si è cercato di allargare il discorso chiamando in causa i nostri famosi distretti industriali, i quali sono stati analizzati ed in seguito confrontati con i DES, dando la possibilità di arrivare a degli spunti di discussione veramente interessanti.

CAPITOLO I

IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

1.1 Definizione e motivi di un Commercio Equo e Solidale

Quello del commercio equo è un movimento di base, la cui spina dorsale sono i cittadini, non le industrie o le istituzioni ed è concentrato più sul fare che sugli aspetti formali. Non deve sorprendere che esistano varie definizioni di commercio equo e solidale (CEeS) e che solo nell’autunno 2001 il coordinamento informale delle reti di commercio equo, denominato Fine (acronimo che raccoglie l’organizzazione di marchio Flo, la federazione internazionale Ifat, il network delle botteghe del mondo News! E l’associazione dei maggiori importatori europei Efta) abbia raggiunto una sintesi comune:

“Il commercio equo è una partnership commerciale, basata sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che mira a una maggiore equità nel commercio internazionale. Contribuisce allo sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali a produttori svantaggiati e lavoratori, particolarmente nel sud, garantendone i diritti. Le organizzazioni del commercio equo, con il sostegno dei consumatori, sono attivamente impegnate a supporto dei produttori, in azioni di sensibilizzazione e in campagne per cambiare regole e pratiche del commercio internazionale convenzionale”[1].

 Il commercio equo, infatti, da vita a relazioni commerciali fondate su regole e criteri che pongono in primo piano, non la massimizzazione del profitto, bensì l’instaurazione di relazioni paritarie con i partners dei Paesi meno sviluppati, in modo da avviare, in tali Paesi, processi di sviluppo e di autosviluppo basati sul rispetto delle persone e dell’ambiente.

L’attività commerciale vera e propria è affiancata da una continua ed intensa attività di educazione e informazione, volta ad accrescere consapevolezza e attivismo della popolazione civile riguardo tematiche tanto importanti quali la povertà e l’arretratezza dei Paesi sottosviluppati e le cause di tali squilibri.

Per comprendere le ragioni per cui si è sentita l’esigenza di creare un sistema così strutturato e quali sono le realtà che il commercio equo, anche attraverso l’istituzione dei Distretti di Economia Solidale (DES), denuncia e si propone di modificare mi soffermerò ad esporre le caratteristiche principali per cui, secondo gli attori del commercio equo e solidale, il commercio internazionale stia recando squilibri all’interno del sistema economico mondiale.

Dai dati raccolti nel 1997 infatti si riesce a cogliere che la disparità di reddito tra il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi più ricchi e il quinto che vive nei paesi più poveri è di 74 a 1, mentre era di 60 a 1 nel 1990 e di 30 a 1 nel 1960.

Alla fine del 1997 il 20% della fascia più ricca detiene l’86% del reddito mondiale, mentre il 20% della fascia più povera si deve accontentare dell’1%. Il quinto della popolazione mondiale più ricca nei Paesi industrializzati beneficia dell’82% del commercio internazionale e del 68% degli investimenti diretti esteri, mentre il quinto più povero beneficia di un po’ più dell’1%[2].

Dunque, la differenza fra abbienti e poveri cresce all’interno dei singoli stati soprattutto negli ultimi trent’anni, riferisce ancora l’Undp[3], le disuguaglianze sono aumentate in quarantadue Paesi sui settantatré di cui si hanno dati certi (che rappresentano quasi l’80% della popolazione totale) e solo sei Paesi in via di sviluppo (PVS) su trentatré hanno assistito a una diminuzione del divario.

Si rafforza sempre più l’idea che l’imputata numero uno dell’inasprimento della disuguaglianza sia la globalizzazione, nel senso liberista impresso a questo fenomeno dalle istituzioni che più di altri l’hanno promosso: l’Organizzazione mondiale del commercio, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale. Una tendenza contestata non solo dai movimenti sociali da Seattle[4] in poi, ma anche da economisti e studiosi, è il caso dell’economista Joseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001, dal 1993 al 1997 consigliere economico di Bill Clinton e successivamente per quattro anni numero uno della Banca mondiale, lasciata dopo aver denunciato l’impatto devastante della globalizzazione sui paesi poveri.

Infatti nel suo libro[5] Stiglitz traccia un pesantissimo atto di accusa alle organizzazioni internazionali (Fmi in testa) che hanno preso le redini dell’economia e della finanza globale:

«Il Fondo monetario internazionale», sostiene Stiglitz, «è rimasto ancorato all’epoca precedente a Keynes. Credo che la globalizzazione possa essere un’opportunità per aumentare il benessere di tutti, ma è necessario ripensare a fondo il modo in cui è stata gestita. Bisogna rivedere gli accordi commerciali internazionali che hanno contribuito all’eliminazione delle barriere al libero scambio e le politiche imposte ai paesi in via di sviluppo»[6].

L’economista nordamericano approfondisce le ricette volute dai fautori del neoliberismo, fatte di tagli alla spesa sociale, di privatizzazioni indiscriminate e di aperture scriteriate al mercato globale. Mette a confronto le politiche di transizione da economie socialiste a quelle di mercato adottate in Russia e in Cina e dimostra che hanno ottenuto migliori risultati proprio quei paesi che non hanno seguito le indicazioni provenienti dalle istituzioni di Washington, infine Stiglitz dice che non bisogna semplicemente modificare le strutture istituzionali, ma che bisogna cambiare proprio il modo di intendere la globalizzazione.

Il commercio equo nasce, dunque, per proporre un modello di relazioni internazionali alternativo rispetto a quello della globalizzazione; compie il tentativo di riequilibrare i rapporti tra popolazioni del Nord e del Sud del mondo e lo fa proponendo un modello di sviluppo per queste ultime, non fondato su un programma di assistenzialismo, bensì sulla costruzione di relazioni commerciali paritarie che permettano ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo di riacquistare dignità e di acquisire le conoscenze e le capacità, anche materiali, che permettano loro di avviare progetti di autosviluppo che li renda liberi e indipendenti dai Paesi ricchi.

Il movimento del commercio equo e solidale, infatti, trae ispirazione dallo slogan “Trade not Aid” lanciato da UNCTAD[7] durante la Conferenza di Ginevra del 1964, in linea con le nuove idee che in quel periodo stavano maturando circa la cooperazione con i Paesi economicamente svantaggiati: non più solo aiuti allo sviluppo, ma nuove azioni sui dazi doganali per facilitare l’ingresso dei prodotti di tali Paesi nel mercato del Nord del mondo[8].

1.2 Obiettivi, criteri e soggetti coinvolti

Come si desume dalle definizioni, il CEeS mira a migliorare le condizioni di vita dei produttori, specie dei gruppi più svantaggiati, nei Paesi in via di sviluppo questo attraverso relazioni commerciali che sovvertono le normali regole del gioco internazionale e che portino alla costruzione di un rapporto equo e paritario con i partner del Sud, permettendogli in tal modo di avere un maggiore potere di mercato. Il fine ultimo è che i produttori, con l’iniziale appoggio del CEeS, riescano a riscattarsi dalla loro condizione di miseria per avviare processi di auto sviluppo; non vuole essere una forma di assistenzialismo.

Per realizzare ciò è necessario compiere un’importante opera di sensibilizzazione e informazione, non solo verso i consumatori, ma anche verso le istituzioni.

Per quel che riguarda i primi, il CEeS ha l’obiettivo di far conoscere loro, attraverso la vendita dei prodotti importati, la storia e la vita di produttori lontani, per far prendere coscienza dei problemi che investono milioni di persone e delle possibilità che ciascuno ha di partecipare alla loro attenuazione, anche solo attraverso le proprie scelte di consumo quotidiane. Nei confronti delle istituzioni, invece, il CEeS è impegnato affinché questo modo di fare commercio venga ufficialmente riconosciuto come una forma di cooperazione allo sviluppo e come tale, sostenuta e condivisa.

Obiettivo del CEeS è, comunque, quello di ottenere relazioni economiche più eque per tutti, nel Sud come nel Nord, rapporti di lavoro che non violino i diritti fondamentali, rispetto per la persona e per l’ambiente.

Tutti i soggetti coinvolti nella catena di produzione e commercializzazione dei prodotti del Commercio Equo, sono tenuti a rispettare alcuni fondamentali criteri, miranti a garantire la realizzazione degli obiettivi del movimento stesso.

Gli importatori del Nord devono inoltre garantire ai produttori del Sud un prezzo che consenta loro, e alle loro famiglie, di soddisfare i bisogni essenziali e di accedere a un livello di vita dignitoso.

Un prezzo che garantisca non solo la completa copertura dei costi di produzione, ma che contribuisca anche a soddisfare almeno le necessità primarie e che dia la possibilità di accantonare risorse da utilizzare per il miglioramento dei sistemi produttivi o per lo sviluppo di iniziative di carattere sociale; un prezzo, se è possibile, che oltre a coprire l’intero costo della produzione del bene, includa anche i costi ambientali e sociali. Ciò è possibile se il prezzo viene concordato, nell’ambito di un rapporto paritario, dall’importatore con il produttore, l’unico in grado di conoscere perfettamente i costi di produzione sostenuti; non un prezzo, quindi, imposto dagli importatori o dagli intermediari sulla base del loro potere contrattuale e di mercato, come normalmente avviene quando operatori tradizionali si relazionano con partners in posizione svantaggiata.

Il CEeS riesce a garantire ai produttori una remunerazione maggiore rispetto a quella tradizionale facendo in modo che una quota maggiore del prezzo finale venga loro assegnata. Perché il CEeS sia veramente efficace bisogna che conti su rapporti continuativi tra importatori e produttori in modo che questi possano programmare la loro attività nel medio-lungo periodo e che si possa instaurare una più stretta collaborazione tra i due operatori, incentivando entrambi a comportarsi nel modo più corretto possibile. Anche per questo motivo le organizzazioni del CEeS concedono ai produttori, al momento dell’ordine, un anticipo sul valore della merce, in genere nell’ordine del 50% del valore complessivo.

Questa pratica svolge la funzione fondamentale di fornire ai produttori le risorse necessarie per dare il via alla produzione. Se così non fosse essi dovrebbero intaccare le riserve destinate alla sussistenza, peraltro già scarse, o, ancora peggio, dovrebbero fare ricorso all’indebitamento, rivolgendosi a soggetti esterni ai normali circuiti di credito, che praticano interessi usurai, innescando un circolo d’indebitamento senza fine.

Quindi tutte le organizzazioni operanti nel CEeS devono garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori sanciti dalle convenzioni OIL[9], non ricorrere al lavoro infantile o allo sfruttamento del lavoro minorile; non devono, inoltre, operare discriminazioni in base al sesso, l’età, la condizione sociale, la religione, e le convinzioni politiche.

I soggetti che fanno parte di questo sistema economico sono i produttori, generalmente sono agricoltori o artigiani sparsi in tutti i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina: si stima che attualmente siano circa 1000 le organizzazioni coinvolte, tra produttori ed esportatori all’origine, per un totale di un milione e 200mila persone al lavoro, contadini, artigiani e tecnici. Ci sono poi le centrali di importazione che curano i rapporti con i produttori, l’importazione e la diffusione dei prodotti presso i punti vendita.

Infine ci sono le Botteghe del mondo, che sono organizzazioni senza fini di lucro che fungono da distributori finali per i prodotti del CEeS, ma non solo: parte integrante della loro attività è costituita dall’effettuare opera d’informazione, sensibilizzazione e promozione culturale del consumo socialmente responsabile.

Negli ultimi anni si sono aggiunte nuove figure organizzative che hanno lo scopo di dare una spinta maggiore al movimento del CEeS: sono i Distretti di Economia Solidale che attraverso l’utilizzazione di principi propri dei nostri Distretti Industriali Italiani vogliono cercare di dare sfogo alla crescita del Commercio Equo al fine di riuscire a soppiantare il sistema economico voluto dal WTO.

CAPITOLO II

I DISTRETTI DI ECONOMIA SOLIDALE

2.1 Perché progetto DES

 I primi passi che hanno portato a mettere in pratica, in Italia, i principi del CEeS, sono stati fatti dalla Cooperativa Sir John di Morbegno, in provincia di Sondrio, la quale nel 1976 cominciò a importare articoli in juta dal Bangladesh, in virtù dello stretto rapporto con il missionario Giovanni Abbiati, per poi rivenderli attraverso fiere e banchetti; a Bressanone (BZ) nel 1981 venne aperta una bottega collegata alla centrale d’importazione austriaca EZA, grazie ai locali messi a disposizione dalla chiesa cattolica. Una delle tappe senza dubbio più importanti del movimento CEeS italiano è stata la nascita della cooperativa Cooperazione Terzo Mondo (oggi Ctm Altromercato), da cui si staccherà dopo qualche anno uno dei soci (Ferrara Terzo mondo) per dare vita a Commercio Alternativo, che oggi è la seconda centrale di importazione in termini di fatturato.

Nel 1991 nacque l’Associazione delle Botteghe del Mondo; altro passo fondamentale per arrivare a promuovere l’idea di DES in Italia è stato fatto nel luglio 1999 quando il Tavolo delle Campagne[10] lancia l’idea di una rete costituita da gruppi di base attivi in Italia sui temi internazionali, cercando di riprodurre su scala locale idee ed esiti che avevano prodotto il Tavolo.

Il CEeS è dunque arrivato in Italia in ritardo rispetto ad altri Paesi Europei, ma non per questo siamo oggi a livelli di sviluppo inferiori alle altre realtà; infatti il nostro giro d’affari complessivo è passato da poco più di venti milioni di euro nel 1999 a circa sessanta milioni nel 2003.

In meno di tre anni sono nate cento botteghe del mondo (a metà 2003 erano 437 i punti di vendita totali), con una media di una nuova entrata ogni dieci-quindici giorni, inoltre secondo una ricerca Doxa del 2002 più del 23% della popolazione italiana conosce il CEeS. Centrali di importazione, botteghe del mondo, marchio di garanzia: tutti hanno trainato lo sviluppo e l’Italia si è popolata di una serie di gruppi che spontaneamente decidevano di investire denaro, tempo e passione nel commercio equo.

Nonostante i progressi fatti e quelli in corso, i limiti del commercio equo in Italia sono molteplici, restano in buona parte attuali i risultati dell’indagine condotta dalla cooperativa Pangea, che riassume così i lati deboli della rete: strutture poco sviluppate, difficile o inesistente rapporto con i media, scarso dinamismo nel reperire risorse umane e finanziarie, poca collaborazione con altri soggetti esterni al movimento con i quali è possibile però avviare un dialogo, ma soprattutto, le quote di mercato del commercio equo in generale, e ancor più dei negozi, sono allo stato attuale troppo basse per soddisfare le esigenze dei produttori.

Alla luce di queste conclusioni gli attori del CEeS Italiano, pur tenendosi saldi ai valori e ai principi di fondo, hanno cominciato a cambiare pelle. Le maggiori dimensioni, le nuove sfide, la complessità di un commercio che deve far quadrare i conti e rispettare le scelte etiche, comportano il bisogno di sviluppare nuove professionalità e nuove realtà economiche. Ctm sostiene un modello di cooperazione integrata, con l’obiettivo di battere su tutti i tasti del CEeS: reti, servizi e prodotti; il consorzio si è dato una struttura aziendale investendo sulla formazione e sul personale, raddoppiando gli addetti retribuiti fra il 1998 e il 2002, e ha creato i responsabili di area: marketing, comunicazione, educazione, microcredito[11].

Una risposta a questo bisogno di cambiamento la stanno dando le cellule delle reti solidali che si moltiplicano nell’ambito di Distretti d’Economia Solidale che includono consumatori, produttori, commercianti, artigiani e piccoli imprenditori. Ciascuna cellula alimenta l’altra: i membri di una cooperativa d’agricoltura biologica acquisteranno beni e servizi da altri membri della rete, tutti frequenteranno la lavanderia ecologica della zona e acquisteranno merci nei negozi amici. Di cellula in cellula, raccogliendo risparmio e integrando produzione e consumo, la rete può crescere e allargarsi secondo valori e modelli che prescindono dai rapporti di produzione prevalenti e si propongono anzi di massimizzare il benessere collettivo e la tutela dell’ambiente. Attorno a questi concetti si comincia a immaginare una “rivoluzione delle reti” che mette in discussione, e alla fine capovolge, i principi dell’economia capitalistica: alla logica del massimo sfruttamento del lavoro si contrappone l’obiettivo della riduzione del tempo di lavoro; alla libera iniziativa individuale, la libera iniziativa sociale; alla dipendenza dai capitali esterni, la crescita del risparmio interno e così via.

  1. Percorso verso le Reti di Economie Solidali

Il progetto "RES" (Rete di Economia Solidale) è un esperimento in corso per la costruzione di una economia "altra", a partire dalle mille esperienze di economia solidale attive in Italia. Questo progetto in costruzione, segue la "strategia delle reti"[12] come pista di lavoro; intende cioè rafforzare e sviluppare le realtà di economia solidale attraverso la creazione di circuiti economici, in cui le diverse realtà si sostengono a vicenda creando insieme spazi di mercato finalizzato al benessere di tutti.

Questo percorso è stato avviato il 19 ottobre 2002 a Verona nel corso di un seminario sulle "Strategie di rete per l’economia solidale" promosso dal GLT Impronta Ecologica e Sociale della rete di Lilliput; nel corso del seminario le numerose realtà convenute hanno deciso di affrontare questo viaggio collettivo.

Un primo passo è stata la definizione della "Carta per la Rete Italiana di Economia Solidale", presentata al salone Civitas di Padova il 4 maggio 2003.

Ora il percorso prevede l’attivazione di reti locali di economia solidale, denominati "Distretti", come passaggio fondamentale per la costruzione di una futura rete italiana di economia solidale.

L’attivazione di questi esperimenti ha il fine di poter verificare nel concreto, a partire dalla dimensione locale, l’efficacia della strategia delle reti e della democrazia partecipativa, così da consentire la valutazione e la diffusione di queste esperienze.

Questo progetto è sostenuto da un gruppo di lavoro su base volontaria a cui partecipano diversi soggetti dell’economia solidale italiana[13].

La necessità di una trasformazione verso una società conviviale, rispettosa delle persone, dell’ambiente e dei territori è condivisa da molti soggetti che operano in diversi campi: sociale, culturale, ambientale, politico ed economico; la trasformazione che auspichiamo dovrebbe infatti coinvolgere tutti questi aspetti.

Tra le molte, due organizzazioni a rete sono vicine alla Rete di Economie Solidali per condivisione degli orizzonti, degli obiettivi generali e delle modalità operative: queste sono la Rete Lilliput (che ha dato avvio e sostiene la Rete di Economie Solidali) e la Rete dei Nuovi Municipi (che collabora con la Rete di Economie Solidali). La prima opera principalmente attraverso strumenti di sensibilizzazione e pressione, mentre la seconda agisce in ambito istituzionale attraverso il coinvolgimento degli enti locali.

Queste due reti condividono la prospettiva dello sviluppo locale autosostenibile ed è in primo luogo con esse che si può avviare la costruzione di spazi pubblici territoriali per il raccordo partecipato tra i diversi interventi di trasformazione, a livello dei sistemi ecologico, economico e politico-sociale e valoriale.

La Rete di Economie Solidali, all’interno di tali “spazi pubblici” avrebbe il ruolo di sviluppare l’economia liberata, ed è quindi aperta a collaborare con tutte le altre reti e soggetti che condividano tale prospettiva di fondo o che intervengono sul terreno dell’autosviluppo locale sostenibile.

Per quanto riguarda il campo più specifico della attività economica, in Italia sono già attive diverse organizzazioni di settore che radunano i soggetti che operano in un settore dell’economia; in particolare: AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile), AFE (Associazione Finanza Etica), AGICESS (Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), Rete dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), strutture “verticali” o locali organizzano invece imprese sociali che producono vari tipi di beni e servizi[14].

Il processo di costruzione di una Rete di Economie Solidali ha mosso i primi passi con la proposta e l’avvio dei Distretti di Economia Solidale, che sono la sperimentazione della strategia delle reti sul territorio. Siccome queste esperienze sono ancora ad un livello molto embrionale, l’obiettivo principale della RES è sostenere e promuovere lo sviluppo dei Distretti e confrontare i risultati delle esperienze; è all’interno di questi progetti che potrà essere articolato il ruolo concreto delle reti locali di economia solidale in rapporto con le altre reti che intervengono sul territorio (istituzionali e non) o con i singoli attori.

  1. Che cos’è progetto DES

La proposta dei distretti di economia solidale (DES) è stata lanciata nel maggio 2003 con la “Carta per la rete italiana di economia solidale”, con il fine di sperimentare sul campo la strategia delle reti a partire dalla dimensione locale e con l’idea di condurre degli esperimenti per valutare nella pratica il funzionamento e le difficoltà di questa strategia.

La logica del distretto è quella di creare un circuito economico, sociale e culturale tra le realtà locali dell’economia solidale in modo da poter rafforzare queste stesse realtà e fornire risposte ai consumatori critici che chiedono prodotti e servizi rispettosi delle persone e dell’ambiente.

Lo sviluppo dei distretti avviene quindi con la prospettiva di valorizzare le risorse del luogo, creare occupazione e difendere le fasce deboli della popolazione.

La costruzione di questi è considerata un passaggio fondamentale per la costruzione di una rete italiana di economia solidale, immaginando quest’ultima come un intreccio tra organizzazioni di settore e reti territoriali.

La scelta di partire dai distretti è, ovviamente, conseguente alla forte valorizzazione della dimensione locale che è propria dell’economia solidale, in cui si ritiene che le forme di “autogoverno” dei territori si debbano esprimere anche sotto il profilo economico.

La costruzione dei distretti è quindi partita dalle diverse realtà che già operano nei territori, come ad esempio gruppi di acquisto solidali, botteghe del mondo, realtà della finanza etica e del turismo responsabile, piccoli produttori biologici, cooperative sociali e cooperative che offrono servizi e beni di consumo, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi, associazioni e gruppi informali che condividono le regole dell’economia solidale.

La creazione di questo circuito tra le diverse realtà dell’economia solidale rafforza chi vi partecipa perché le risorse immesse nel circuito rimangono al suo interno, senza sfuggirne via; in questa prospettiva, quindi, almeno una parte degli utili realizzati all’interno del circuito vengono impiegati per rafforzare le realtà esistenti, o per creare o convertire altre realtà, e realizzare così in modo solidale i prodotti ed i servizi cui i consumatori hanno bisogno[15].

Si prevede anche che i prodotti ed i servizi non disponibili all’interno di un distretto vengano scambiati, a livello paritario, con gli altri distretti o con altre realtà di economia solidale presenti nel territorio.

Quello dei DES è quindi un esperimento in corso e non esistono ricette, o procedure definite, su come si possano nel concreto costruire i distretti e come questi debbano funzionare.

La proposta è stata, come abbiamo detto, quella di avviare delle sperimentazioni sui territori disponibili, per poter così confrontare i metodi adottati ed i risultati ottenuti e, attraverso lo scambio di esperienze, stabilire quali esempi possano servire da riferimento per chi vuole iniziare.

Nel corso dell’elaborazione teorica e della sperimentazione pratica connesse alla creazione dei diversi DES sono inoltre emerse concezioni e “visioni” diverse su cosa sia un distretto e di quali siano i suoi ruoli e obiettivi, e su questi temi il confronto è ancora aperto.

Alcune esperienze stanno caratterizzando i DES in senso principalmente economico, come luogo di scambio tra le realtà dell’economia solidale attive sul territorio nei diversi settori: produzione, servizi, distribuzione, consumo di beni e utenza di servizi.

In questo caso, a titolo esemplificativo, e come previsto dalla “Carta per la rete italiana di economia solidale”, il progetto prevede che le imprese dei DES acquistino beni e servizi per la produzione prioritariamente dalle altre aziende dell’economia solidale e vendano i loro beni e servizi prioritariamente alle strutture distributive o di consumo dell’economia solidale.

Inoltre i cittadini, consumatori, utenti devono acquistare prioritariamente beni e servizi che provengono dalle imprese dell’economia solidale, che i risparmiatori-finanziatori e le loro strutture esecutive finanzino imprese e progetti dell’economia solidale; Bisogna inoltre che gli Enti Locali (in particolare i Comuni) interessati al progetto favoriscano sul loro territorio la formazione dei DES, agevolando il coinvolgimento dei soggetti economici e delle loro associazioni, i quali assieme agli altri soggetti presenti sul territorio devono diffondere la cultura e i principi dell’economia solidale in modo da fare informazione sui temi e sulle esperienze di questa realtà.

In altri casi invece le connotazioni del DES, e l’orizzonte che esso stesso si vuole dare, sono più esplicitamente articolati, oltre che per l’aspetto economico, verso la costruzione di un luogo e un progetto sociale, culturale e politico, come prefigurato dal “Quaderno delle esperienze e delle proposte”.

La fase realizzativa dei Distretti è ai suoi primi passi in varie parti d’Italia, tuttavia ha già creato un buon fermento di iniziative interessanti: fiere, mercati, centri commerciali, convegni, seminari, scuole, incontri e manifestazioni varie, pubblicazione di guide e altro, però si prevede uno sviluppo abbastanza rapido di questa nuova forma di economia, soprattutto se gli enti pubblici daranno il loro contributo, come è auspicabile.

2.4 Principi e criteri dei DES

I principi cui si ispirano la riflessione e gli esperimenti sulle reti di economie solidali sono espressi nella “Carta per la Rete Italiana di Economie Solidali” del maggio 2003. Se la Carta definisce i principi, questi vengono poi tradotti in criteri che stabiliscono le caratteristiche richieste alle realtà che intendono aderire ai distretti di economia solidale. I criteri, per essere tali, devono essere verificabili e la definizione dei metodi di verifica vengono lasciati ai singoli distretti.

Esistono dunque dei criteri condivisi, che sono ritenuti fondamentali per la partecipazione di una realtà al distretto, e sono l’adesione ai principi dell’economia solidale, cioè i distretti devono indicare la loro adesione ai principi dell’economia solidale come espressi nella “carta RES” o eventualmente precisati in una corrispondente carta del distretto. Devono inoltre definire autonomamente la loro estensione territoriale, una volta fatto questo le realtà che aderiscono al distretto devono essere presenti con una sede operativa all’interno del territorio.

Altro criterio fondamentale per i DES è l’utilizzo degli utili per lo sviluppo del distretto, quindi una parte dei profitti o delle risorse delle realtà aderenti deve essere utilizzata per lo sviluppo del distretto stesso, infine devono utilizzare la trasparenza informativa in modo che forniscano informazioni sulle loro attività, sul loro bilancio e sui meccanismi di formazione del prezzo.

Ai criteri condivisi si aggiungono i criteri “a tendere”, questi criteri sono considerati in prospettiva: sono cioè considerati importanti ma non si ritiene di doverli definire vincolanti da subito; si immagina cioè un periodo di transizione per consentire alle realtà aderenti di adeguarsi a queste richieste[16].

Questi principi dicono che le realtà produttive del distretto devono basarsi per quanto possibile su contratti di lavoro che siano stabili e qualificati, che bisogna prevedere la partecipazione dei lavoratori nelle decisioni e che devono rispettare la legislazione in vigore: se la norma è ritenuta ingiusta si procederà insieme, produttori e consumatori, a protestarne il cambiamento in modo pubblico, trasparente ed in equivoco.

Ultima categoria dei criteri a cui i DES si ispirano sono i criteri “controversi”, questi non sono condivisi tra i diversi distretti ma ogni distretto decide in base alle proprie caratteristiche e idee. Per esempio alcuni distretti prevedono che le realtà che lo costituiscono siano di tipo collettivo, per cui sono esclusi come aderenti i singoli cittadini, anche se questi possono naturalmente avere un ruolo attivo all’interno del distretto. In altri casi si prevede invece che i singoli cittadini possano aderire direttamente al distretto, questo criterio vale anche per l’adesione delle società di capitali, degli enti pubblici e per i sindacati che dunque possono essere inseriti all’interno del distretto solo se espressamente voluto dal distretto stesso.

  1.  Soggetti promotori e attività dei DES

La creazione del distretto è sempre sostenuta da un gruppo promotore: in alcune realtà questo gruppo ha costituito un “Tavolo dell’economia solidale” con il fine di promuovere la nascita del distretto. Questi tavoli, o più in generale il gruppo di promozione del distretto, possono essere avviati da diverse realtà, ad esempio dai nodi locali della rete di Lilliput (Torino, Como, Brianza, Trentino), da una cooperativa di commercio equo (Marche), o da altre organizzazioni (Milano, Brianza, Roma).

Nelle Marche il tavolo è stato creato con la partecipazione delle diverse realtà di economia solidale presente sul territorio e si è dotato di un suo regolamento. A Roma il “Tavolo dell’Altra Economia” nasce dalle realtà di economia solidale e da altre associazioni no profit. In Brianza è stato costituito il “Gruppo Motore” del distretto. A Como la rete impegnata nel percorso del distretto ha costituito “L’isola che c’è”, per lo sviluppo del distretto stesso.

Sin dall’inizio della loro sperimentazione i distretti hanno scelto alcuni strumenti ed attività per potersi meglio organizzare e promuovere, così da rafforzare i circuiti economici tra le realtà dell’economia solidale[17].

Alcuni distretti hanno deciso di redigere una loro “Carta dei principi”, per precisare ed attuare localmente i criteri definiti nella “Carta per la Rete Italiana di Economia Solidale”. La “Carta dei principi” locale viene sottoscritta da chi aderisce al distretto, inoltre all’interno di essa verranno indicati tutti i criteri cui si basa il movimento stesso.

Tra le attività usate dal distretto c’è la costituzione di una propria mailing list, specifica per la gestione delle notizie del distretto, ci sono poi le pagine arcobaleno che servono per censire le realtà di economia solidale presenti sul territorio: spesso la compilazione di queste pagine costituisce il passaggio fondamentale per una prima conoscenza del territorio di riferimento.

Questa mappatura infatti richiede di definire i criteri di selezione delle realtà e crea una base di informazioni molto utile allo sviluppo del distretto. Altre attività sono la realizzazione di fiere che possono essere uno strumento per tessere legami e per far conoscere al pubblico, e tra loro, le diverse esperienze di economia solidale attive sul territorio; in questa logica quasi tutti i distretti attivi in Italia organizzano fiere, inoltre per rafforzare la base della domanda che lo sostiene il distretto sceglie, come uno dei primi passi da affrontare, di creare e rafforzare i GAS che sono presenti sul territorio.

Un’atra possibilità per lo sviluppo dei distretti è la creazione di uno sportello informativo per i consumatori critici, in cui dare informazioni sui “nuovi stili di vita” e su dove trovare prodotti e servizi sostenibili. In alcuni casi i distretti hanno richiesto per i loro progetti fondi pubblici a Enti Locali o alla Commissione Europea: è comunque importante e fondamentale segnalare l’importanza dell’indipendenza dei distretti di economia solidale dalle istituzioni.   

2.6 Come si finanzia un DES

Come qualsiasi ente economico per la loro sopravvivenza i DES hanno bisogno di fondi, questi fondi vengono reperiti attraverso varie forme di finanziamento che prevedono cinque modalità di flussi economici principali.

La prima forma di finanziamento consiste nella quota annuale di adesione, differenziata per tipologia di soggetti e destinata a sostenere la gestione delle strutture, gli organi ed i servizi del distretto; sono da escludere contributi estemporanei e generici da soggetti pubblici o privati mentre si possono integrare contributi e finanziamenti ad hoc su progetti (es. bandi pubblici, convenzioni, Fondi Sociali Europei, ecc.) in misura non superiore al 40% della quota complessiva (quote adesione + contributi esterni). Queste limitazioni sono utili a garantire indipendenza ed autonomia dei distretti da qualsiasi lobby esterna, pubblica o privata che sia.

La seconda riguarda una quota per l’acquisto di valuta complementare (monete locali), che dovrebbe differenziarsi per soggetti (singoli, associazioni, soggetti economici, ecc.) ed è finalizzata alla distribuzione della moneta locale, in modo da avviare il volano virtuoso degli acquisti interni al distretto.

La terza concerne il fondo di promozione e solidarietà, il quale è costituito da eventuali contributi e donazioni esterne verso i DES più una percentuale minima stabilita (elevabile a discrezione dai singoli soggetti) sugli utili di bilancio dei produttori e sulle quote di risparmio negli acquisti dei consumatori; questo fondo è di grande importanza perché costituisce e rappresenta un patto ed un legame forte di reciprocità tra i consumatori e i soggetti economici. Il suo utilizzo dovrebbe essere indirizzato, nelle forme del contributo e/o del finanziamento senza interesse, dall’Assemblea Distrettuale per interventi di solidarietà e mutuo aiuto tra i soggetti del Distretto in caso di emergenze, per interventi di start-up per nuove realtà produttive volte a soddisfare una domanda di consumo espressa ed inevasa, per interventi di supporto al rilevamento di aziende in crisi ad opera dei lavoratori (es. start-up, ricostituzione/aumento di quote di capitale, parziale o totale riconversione produttiva, formazione dei lavoratori, ecc.). Infine questi fondi vengono usati per azioni di solidarietà con le fasce deboli della cittadinanza (es. reddito minimo vitale, reddito di cittadinanza, prestito d’onore, ecc.).

La Quarta forma di finanziamento riguarda la raccolta di risparmio etico dei partecipanti al distretto che dovrebbe finanziare a condizioni agevolate gli investimenti produttivi all’interno del distretto. Quinto e ultimo modo per ottenere finanziamenti riguarda i finanziamenti di enti pubblici, o privati, a progetti specifici elaborati e proposti dal DES e da esso gestiti e cogestiti[18].

2.7 Punti di forza e debolezza dei DES

I nuovi DES hanno punti di forza e di debolezza che li contraddistinguono: in questo paragrafo mi soffermerò ad elencare i pregi ed i difetti di questa nuova realtà economica.

I principali punti di forza dei distretti si basano principalmente sul territorio, dove esistono già numerose realtà di economia solidale che in alcuni casi sono realtà in relazione tra loro e abituate a lavorare in rete; esiste inoltre un’accresciuta sensibilità da parte dell’opinione pubblica nei confronti del consumo critico e dell’economia solidale. Altro punto favorevole è il notevole interesse e le aspettative per l’economia solidale e le reti, in alcuni casi anche in ambito istituzionale, perché la positività del progetto dei distretti permette di coagulare molte energie, inoltre il riferimento a territori limitati (tipicamente la dimensione provinciale) permette una buona gestione delle dinamiche relazionali in quanto l’orizzontalità della rete permette di facilitare la partecipazione.

I principali punti di debolezza riguardano il tempo e le risorse che le persone, spesso su base volontaria, riescono a mettere a disposizione per lo sviluppo del distretto che sono ancora spesso insufficienti rispetto al ruolo che il distretto vorrebbe poter giocare. Anche le risorse economiche disponibili nella fase di implementazione sono molto limitate rispetto agli obiettivi ed ai compiti che si prefiggono i distretti; esistono infatti livelli diversi di coinvolgimento delle realtà e c’è difficoltà nel tenere insieme la partecipazione e la conduzione di progetti operativi.

È altresì difficile tenere insieme realtà di diverso livello come singoli, realtà produttive e associazioni di produttori o di consumatori; si sente dunque la mancanza di una strategia di fondo di ampio respiro, soprattutto perché mancano progetti federatori specifici e condivisi. Sarebbe necessario trovare un approccio che unisca teoria e pratica, ma c’è difficoltà ad instaurare nuove relazioni economiche e a rafforzare in modo strutturale le relazioni esistenti tra i soggetti del distretto, ovvero a creare circuiti economici stabili, poiché la struttura molto informale della rete rende difficile l’interazione con alcuni soggetti, in particolare quelli istituzionali, soprattutto c’è difficoltà nel trovare punti di incontro con esperienze vicine, manca cioè un modello condiviso di orizzonte economico di riferimento.

Non esiste infatti un modello di rete condiviso, ma proposte diversificate, manca la capacità di collaborare, integrare le proprie proposte e imparare a rinunciare ad una parte di sé.

Dal punto di vista storico manca un bilancio delle preesistenti reti di economia alternativa, una consapevolezza condivisa sui caratteri distintivi delle imprese etico-solidali e un modello capace di avviare sinergie virtuose tra settori di attività e DES.

A queste difficoltà si può comunque porre rimedio utilizzando la mappatura del territorio che non deve essere solo anagrafica, ma capace di fare emergere bisogni specifici ed il “come” si è in grado di fare rete; bisogna individuare e formare “figure” con competenze specifiche (ad esempio facilitatori per la gestione delle reti).

Si deve avvertire la necessità di avviare attività di studio, ricerca e autoformazione a supporto delle attività dei DES, così da utilizzare e incrociare le informazioni già reperibili presso fonti istituzionali e private con quelle ancora da raccogliere e produrre all’interno degli stessi DES e dei centri servizi che eventualmente si struttureranno. L’attività di ricerca andrebbe svolta a partire dalla valorizzazione delle capacità e competenze specifiche dei soggetti che ne fanno parte, o di quelli che ciascun DES reputa “autorevoli” in funzione dei bisogni specifici dei soggetti che lo compongono e del contesto in cui opera, devono essere costruiti centri servizi a supporto delle reti[19].

Per la diffusione dei principi dell’economia solidale, servono centri di ricerca sugli scenari esistenti, anche esterni ai distretti. È inoltre necessario chiarire il ruolo e gli strumenti che i distretti vogliono adottare nei diversi campi: economico, culturale, sociale e politico. Bisogna dunque arrivare ad un governo consensuale e alla distribuzione degli incarichi, solo così si riuscirebbe ad ovviare ai punti di debolezza del movimento e renderlo dunque forte ed autosostenibile.

2.8 Gli attori del mondo etico

Gli attori del mondo etico in Italia sono molteplici, qui di seguito mi soffermerò ad elencare quelli più attivi ed importanti del panorama Italiano e Mondiale.

Comincerò dai gruppi di acquisto solidali (GAS), che sono nati per rispondere alle esigenze simili a quelle del commercio equo e solidale, ma applicate ai prodotti che provengono da vicino, come la maggior parte dei cibi che portiamo sulla nostra tavola.

Il primo GAS nasce a Fidenza nel 1994 da un gruppo che si chiede come sia possibile affermare principi di solidarietà anche a livello economico.

Questi nascono e si diffondono come gruppi di consumatori organizzati che scelgono alcuni produttori da cui rifornirsi direttamente attraverso ordini collettivi; nella scelta dei produttori, i GAS seguono quattro criteri: piccoli, locali, rispettosi dell’uomo e dell’ambiente.

Nascono dunque per facilitare l’incontro tra la domanda dei consumatori che chiedono prodotti gustosi, sani e compatibili e l’offerta dei piccoli produttori biologici che, nonostante la qualità dei loro prodotti, rischiano l’estinzione se non dispongono di canali di commercializzazione alternativi rispetto alla grande distribuzione.

Altra importante organizzazione riguarda il risparmio etico in Italia, che nasce nel 1979 ad opera delle MAG (Mutua Auto Gestione), cooperative in cui il denaro circola tra i soci: i soci risparmiatori depositano i soldi in un libretto di risparmio, e il capitale raccolto viene impiegato per concedere prestiti ai soci che richiedono un finanziamento. Una MAG, prima di attivare un prestito, valuta se il richiedente fornisca le garanzie per la restituzione e se l’attività persegua scopi sociali; in questo modo vengono finanziati tutti progetti che aderiscono ai principi del commercio equo e solidale.

Le spese di gestione delle MAG vengono sostenute dalla differenza tra il tasso d’interesse sui libretti di risparmio e quello pagato sui prestiti. Il risparmiatore viene inoltre informato sull’utilizzo dei suoi soldi.

La prima MAG a costituirsi in Italia è quella di Verona e negli anni ottanta ne sono nate in diverse città italiane. Nel 1994 nel nostro Paese sono state introdotte nuove norme per il mercato finanziario, per cui alle cooperative finanziarie non è più possibile raccogliere risparmio direttamente dalle persone fisiche.

Le MAG si sono quindi in parte trasformate per adeguarsi alle disposizioni di legge: quasi tutte hanno scelto di effettuare finanziamenti solo con il capitale sociale (MAG Servizi di Verona, MAG2 Finance di Milano, MAG6 di Reggio Emilia, MAG Venezia).

Oltre ai prestiti, le MAG offrono diversi servizi al mondo del terzo settore; alcune di queste, insieme ad altre associazioni del terzo settore, hanno dato vita alla Banca Popolare Etica, che ha iniziato a operare nel 1999 dopo la raccolta di capitale sociale di 12,5 miliardi di lire durata alcuni anni.

Oggi la Banca Etica offre diversi servizi come il conto corrente, la carta di credito e il libretto di risparmio e prodotti bancari come certificati di deposito e prestiti obbligazionari; anche in questo caso i risparmi raccolti servono per finanziare imprese di utilità sociale e ambientale, informando il risparmiatore su dove sono finiti i suoi soldi.

Altra organizzazione che aiuta il distretto nella sua formazione è il Turismo Responsabile, realtà nata nel 1991 quando l’Associazione RAM da il via ai primi viaggi-incontro organizzati[20]; si tratta in un certo senso di “viaggiare con il cuore”[21], seguendo uno spirito del viaggio che può guidare sia i viaggi lontani che quelli vicini.

Nel 1997 alcune organizzazioni che praticano il turismo responsabile hanno sottoscritto la “Carta d’identità per viaggi sostenibili”, da questa carta risulta che il turismo responsabile per essere tale debba avere determinati requisiti che si sposano in tutto con i principi equi e solidali.

Ai principi della “Carta” si ispirano i viaggi di turismo responsabile oggi proposti da diverse organizzazioni; le principali hanno dato vita nel 1998 all’associazione Italiana Turismo Responsabile (AITR) che promuove in Italia viaggi sostenibili. L’AITR è composta da una quarantina di associazioni, e ha allo studio un marchio di certificazione da attribuire a viaggi che soddisfino condizioni di responsabilità[22].

Essenziali per tutto il movimento etico Italiano sono le Botteghe del Mondo, la prima è nata nel 1969 in Olanda per commercializzare i prodotti del commercio equo e solidale. Le botteghe del mondo in Europa sono 2700, presenti in 18 Paesi, e con i loro 400 dipendenti e 960 volontari costituiscono i punti di contatto tra i consumatori del Nord e i produttori del Sud, i produttori e la loro storia[23].

In Italia le botteghe sono circa 400, occupano un centinaio di persone stipendiate qualche migliaio di volontari; nel 1991, per volontà delle stesse botteghe, è nata la Associazione Botteghe del Mondo – Italia, che promuove il ruolo delle botteghe stesse. Il ruolo principale delle Botteghe è quello di diffondere campagne di sensibilizzazione, fare cultura e animazione, insomma sono un punto di incontro sul territorio tra i consumatori critici e le diverse proposte per uno stile di vita equo e solidale, e la loro missione sarà quella di essere sempre più del “mondo”, ovvero aperte alle diverse esigenze e realtà, da quelle più lontane a quelle più vicine.

L’organizzazione che più di tutte sta lavorando per l’istituzione dei DES è la Rete Lilliput che nasce in occasione del primo incontro nazionale, organizzato dal Tavolo delle Campagne, a Marina di Massa dal 6 all’8 ottobre 2000.

All’inizio del 2001 è stata definita la consistenza attuale della Rete (585 gruppi, in parte già tra loro collegati in coordinamenti o nodi territoriali) ed è stato avviato un processo di maturazione e dibattito all’interno della stessa rete, diretto a definire le modalità organizzative e operative dell’insieme dei gruppi aderenti. Scopo principale della rete è di opporsi alle scelte economiche che attentano alla democrazia, che portano a morte il pianeta e che condannano miliardi di persone alla miseria.

Le loro strategie d’intervento sono di carattere non violento e comprendono l’informazione e la denuncia per accrescere la consapevolezza e indebolire i centri di potere, il consumo critico e il boicottaggio per condizionare le imprese, la sperimentazione di iniziative di economia alternativa e di stili di vita più sobri per dimostrare che un’economia di giustizia è possibile[24].

Per fare questo la rete tenta di instaurare un rapporto di dialogo e di collaborazione con tutti gli altri gruppi, reti e movimenti che in Italia e all’estero si battono per gli stessi obiettivi. Quindi mettendo in comune idee, conoscenze, risorse, e iniziative vogliono ostacolare il cammino della globalizzazione al servizio delle multinazionali cercando di formare i DES e la Rete di Economie Solidali.

Oltre a questi attori principalmente Italiani ci sono dei coordinamenti internazionali che aiutano il mondo etico, sono raggruppati nella sigla FINE, che sta per FLO, IFAT, NEWS! e EFTA.

FLO rappresenta l’ente di coordinamento di 17 organizzazioni nazionali di marchio di garanzia del CEeS e si è formalmente costituita nel 1997, con sede a Bon; ha il compito di ispezionare e certificare le organizzazioni di produttori che si trovano in Africa, Asia e America Latina, i membri si riuniscono due volte all’anno per decidere le politiche di conduzione delle ispezioni.

L’IFAT è stata fondata nel 1989 ed è l’unica realtà internazionale che rappresenta l’intera catena di commercializzazione, il suo obiettivo è di contribuire a migliorare gli standard di vita delle popolazioni svantaggiate dei Paesi economicamente meno sviluppati collegando e rafforzando le organizzazioni che operano per un commercio equo. È coordinata da un ufficio di segreteria con sede in Gran Bretagna e da un Comitato Esecutivo formato da cinque persone.

NEWS! è invece il network europeo delle Botteghe del Mondo, organismo nato nel 1994 con l’obiettivo di coordinare la cooperazione tra le Botteghe del CEeS in Europa è costituito da 15 Associazioni nazionali di Botteghe in 13 Paesi Europei diversi.

I principali obiettivi sono dunque quelli di collegare tra loro le esperienze delle Botteghe in Europa, promuovere ed appoggiare campagne comuni e stimolare e supportare lo sviluppo delle Associazioni Nazionali.

Infine c’è l’EFTA, network costituito formalmente nel 1990, formato da 12 organizzazioni di Commercio Equo di 9 Paesi, tra cui anche l’Italia; l’obiettivo primario di questa associazione è quello di rendere l’importazione il più efficace ed efficiente possibile.

CAPITOLO III

UN CASO CONCRETO: IL DES TORINO

 

3.1 I progetti in corso in Italia

Le organizzazioni del commercio equo e solidale Italiane (Rete Lilliput, cooperative sociali, Tavoli Regionali, ecc) si stanno dunque dando da fare per la creazione dei Distretti di Economia Solidale, attraverso la creazione delle Reti di Economia solidale. Il lavoro per questi soggetti è ancora in salita ed incerto, poiché ad oggi in Italia solo il DES Torino è effettivamente operativo, mentre le altre otto realtà presenti nel nostro paese stanno lavorando o per la prossima apertura o per l’organizzazione di idee per creare questa futura realtà.

In questa parte iniziale del capitolo mi soffermerò nell’esporre tutte le situazioni presenti nel nostro paese in modo da poter dare un’idea della situazione globale di questo movimento nel nostro Paese.

Uno dei nove gruppi di lavoro che in Italia sta ragionando sui distretti di economia solidale si trova a Trento; prende ufficialmente il nome di “Trentino Arcobaleno – Per un Distretto di Economia Solidale”, e assume il logo del Trentino colorato.

Esso nasce dal gruppo di lavoro della Rete Lilliput sulle Reti di Economia Solidale e a questo è strettamente legato per quanto riguarda l’edizione trentina (a Novembre) della fiera “Fa’ la Cosa Giusta!” di titolarità di Lilliput; per questo gruppo di lavoro non appare necessario in questo momento costituire un soggetto formale con personalità giuridica (tipo associazione), si ritiene sufficiente un nome e un logo che li caratterizzi verso l’esterno; in questa fase lavorano con tutti i soggetti che dovrebbero essere presenti nel DES, per farne cogliere le potenzialità, e far venire loro voglia di aderire nel momento in cui questo dovesse essere formalizzato. A questi soggetti ci si appoggeranno per tutto quanto necessita di una personalità giuridica. Infine quando il DES verrà formalizzato, dovranno essere studiate tutte le questioni relative, quali il nome (che potrà essere Trentino Arcobaleno oppure no), le modalità organizzative più adatte, chi può aderire, come il gruppo attuale confluirà in quel soggetto, ecc.

Altra realtà importante è presente a Como, dove il 21 aprile 2004 si è tenuta l’assemblea costitutiva dell’associazione “L’isola che c’è”, nuovo strumento della rete informale impegnata nella realizzazione di un Distretto di Economia Solidale (DES) nel territorio comasco.

Le principali attività avviate sono: l’organizzazione della seconda edizione de “L’isola che c’è” (fiera provinciale dell’economia solidale e del consumo consapevole), l’aggiornamento della mappatura del territorio e delle pagine arcobaleno e la redazione del giornale res.

Realtà ben più avanzata si trova a Milano, dove il 7 maggio 2004 è stato inaugurato "Otromodo - Laboratorio di Economia Solidale", un cantiere in cui far crescere e incontrare produttori e consumatori consapevoli; in questo sarà possibile proporre e trovare nuovi modi di vestire, abitare, viaggiare, investire, lavorare, formare ed informare, curarsi, mangiare e bere.

Otromodo è uno spazio di circa 800 mq. suddiviso in tanti settori di attività quanti gli "Otromodo" possibili, ed è stato messo a disposizione del progetto dall’Associazione Mondo Comunità e Famiglia.

Il suo cantiere è finalizzato a coinvolgere le persone e le famiglie che hanno già cominciato ad adottare abitudini di vita e modalità di consumo consapevoli e responsabili.

In Otromodo, si avrà la possibilità di ampliare lo spettro dei propri consumi consapevoli, di conoscere ed entrare in contatto con molti produttori solidali di beni e servizi, di confrontarsi con altre persone e famiglie che hanno le stesse esigenze e motivazioni.

Il 3 giugno 2004 a Monza c’è stata la presentazione delle Reti di Economia Solidale coordinate dalle Banche del Tempo della Brianza; la realtà del Coordinamento BDT della Brianza si compone di 6 banche situate nei comuni di Lissone, Vedano al Lambro, Ronco Briantino, Scuola Agraria di Monza, Agrate Brianza e Seveso.

Queste sono nate grazie ad un progetto (legge23/99) che ha consentito i contatti con ben 25 comuni, l’apertura di 6 banche e l’interesse dimostrato all’iniziativa di almeno altri 5 comuni tra cui Macherio, Brugherio e Bernareggio.

La banca del tempo è un’associazione, senza scopo di lucro, che si occupa di solidarietà e volontariato e fa incontrare fra di loro le persone che vi aderiscono per sviluppare nuove e positive esperienze. L’attività che la caratterizza è lo scambio, il tempo messo a disposizione viene scambiato con altro tempo e tra i soci dell’associazione, l’unità di misura non è il denaro bensì il tempo.

La proposta delle RES, pur essendo apartitica, ha una forte connotazione di alternativa politica declinata sul piano economico, dove si persegue una “economia delle relazioni” dove l’incontro, lo scambio, la fiducia e la collaborazione hanno prevalenza sulle pure logiche di mercato della “domanda e dell’offerta”.

Vi sono alcuni punti che le BDT possono portare in questo contesto: il primo è quello di poter sperimentare le potenzialità di una “moneta locale”, a partire da quegli “assegni” che oggi vengono utilizzati come strumento di mediazione degli scambi.

Un secondo ma non meno importante aspetto potrebbe essere la promozione di alcuni GAS tra i soci delle diverse Banche, elementi indispensabili in un sistema economico che si prefigge di partire sempre dalla “domanda”, dai bisogni essenziali dei consumatori.

Venezia presenta il metodo di lavoro partecipato che nei prossimi mesi dovrebbe portare alla stesura di una proposta concreta e condivisa di DESBri. Ovvero la costituzione entro l’autunno di un Gruppo Motore per il Distretto, composto in parte da rappresentanti dei soggetti attori ed in parte da volontari competenti (studenti universitari in economia e sociologia, professionisti di informatica, ecc.) che realizzi un censimento dei soggetti interessati alla proposta e la stesura di una Carta d’intenti del Distretto, ispirata dalla Carta nazionale per le Reti di Economia Solidali.

Intanto il Coordinamento delle BDT approfondirà i contenuti, ritenuti innovativi ed interessanti, anche in vista di una decisione in ordine alla partecipazione al Gruppo di Motore di cui sopra, mentre sul piano concreto, il Coordinamento si riserva di valutare l’opportunità di utilizzare una parte di una delle proprie riunioni per presentare la proposta dei GAS ai propri soci e promuoverne l’apertura.

A Lucca invece, piccola e benestante città toscana, è partito nell’Ottobre 2004 un Circolo di Studio sull’economia solidale con l’intento di riunire un piccolo gruppo di persone per approfondire i concetti, le pratiche e le proposte afferenti all’economia solidale.

Scopo condiviso ed esplicito dell’iniziativa è quello di aggregare una serie di persone attive nel locale GAS, nella locale Bottega del Mondo, nel locale coordinamento dei soci di banca Etica, nel locale consorzio di Cooperative Sociali (più una serie di singoli interessati al tema: un ricercatore dell’Università, un prete, un piccolo imprenditore, un assicuratore, un nonviolento…) per: concettualizzare l’economia solidale, verificare il suo contributo alla risoluzione della crisi delle istituzioni economiche e per progettare forme di promozione dell’economia solidale.

Nelle Marche alcuni soggetti hanno avviato un percorso per la creazione di un distretto dell’Economia Solidale. Mondo Solidale, questo è il loro nome, ha elaborato un progetto che prevede il censimento di tutte le organizzazioni dell’Economia Solidale presenti in regione, la pubblicazione di una guida cartacea e di un sito internet e l’organizzazione di iniziative di promozione e informazione della cittadinanza.

Nel frattempo è iniziata l’istituzione di un Tavolo dell’Economia Solidale di cui dovranno far parte tutti i soggetti interessati alla creazione del Distretto; questo dovrà essere la base per costituire, sulla base del censimento, il Distretto vero e proprio.

Le modalità operative con cui il DES Marche intende svilupparsi sono: incontri del Tavolo, inserimenti e dibattiti sulla lista RES-Marche, attività dei gruppi tematici e iniziative concrete (come la fiera Eco & Equo).

Il Comune di Roma ha avviato da circa tre anni un significativo programma di politiche pubbliche per l’incentivazione della cosiddetta "altra economia". L’idea nasce dall’esperienza delle cooperative e delle associazioni che da tempo a Roma costruiscono dal basso un’economia diversa, che valorizzi le relazioni prima che il capitale, che riconosca un’equa ripartizione delle risorse tra tutti, che garantisca il rispetto dell’ambiente naturale e l’arricchimento di quello sociale. Si tratta delle iniziative del commercio equo e solidale, della finanza etica, del consumo critico, del turismo responsabile, delle pratiche del riuso e del riciclo dei materiali, delle energie rinnovabili, dei sistemi di scambio non monetario. Questo rappresenta un universo in forte crescita nella città di Roma (raggiungendo tassi settoriali anche del 40% e creando nuovi posti di lavoro) nonché oggetto di innovative politiche pubbliche orientate allo sviluppo locale sostenibile.

Autopromozione Sociale è stata la prima agenzia di sviluppo locale del comune di Roma ispirata ai principi di qualità sociale e responsabilità ambientale, attiva già da qualche anno; si tratta di un’unità organizzativa preposta alla promozione, alla nascita e al consolidamento di nuove iniziative economiche per la riqualificazione ambientale e sociale del territorio di Roma. L’autopromozione finanzia progetti di impresa volti alla creazione di nuova occupazione nelle aree periferiche della città, con un’attenzione particolare verso quelle attività economiche ad alto contenuto qualitativo e innovativo: commercio equo e solidale, artigianato, filiera del biologico, energie rinnovabili, riciclo e riuso, finanza etica, turismo responsabile ed altri settori "responsabili".

Ad oggi sono già state finanziate tramite Autopromozione Sociale 726 imprese (il 70% delle quali "giovani" realtà, cioè costituite da meno di 18 mesi) che si ispirano a criteri di responsabilità sociale e che prevedono di creare, a regime, circa 3.300 nuovi posti di lavoro per una media di 4,5 nuovi posti per ciascuna impresa. Contemporaneamente a Roma, sempre tramite Autopromozione, è in via di conclusione la prima Città dell’Altraeconomia nonché i primi incubatori di imprese sociali.

Ultima realtà esistente nel nostro paese, oltre alla realtà di Torino cui mi soffermerò tra breve, è il nascente distretto di economia solidale di Verona e provincia, il quale si è appena dotato della sua carta, è il gruppo di lavoro “più arretrato” di quelli appena citati e di cui si hanno meno notizie a causa della ancora incerta definizione dei propri obiettivi e principi specifici. Per questo motivo nei prossimi mesi questo gruppo di lavoro si darà delle date per incontrarsi assieme a tutti gli aderenti, i quali saranno coordinati inizialmente dalla Rete Lilliput di Verona, per progettare l’avvio del lavoro che deve in poco tempo arrivare ai livelli di organizzazione e di risultati degli altri gruppi di lavoro esistenti all’interno del nostro Paese.

 

3.2 Sviluppo del DESTO

Il Distretto di Economia Solidale di Torino e provincia (DESTO) nasce nel 2003 su impulso del Nodo di Torino della Rete di Lilliput; nel giugno di quell’anno il Nodo organizzò una giornata di incontro per lanciare la proposta del distretto, invitando le realtà di economia solidale presenti sul territorio, in questo incontro si decise di sperimentare la proposta del distretto.

Durante l’estate venne redatta la "Carta dei principi" del distretto a partire da quella nazionale, la quale venne approvata a settembre in un incontro esteso a tutte le realtà interessate, a quel punto iniziò la raccolta di adesioni tramite sottoscrizione della Carta. A novembre venne organizzato la "Festa dell’economia solidale", un mercatino nella piazza del Comune con le realtà aderenti: produttori biologici, artigiani, botteghe del mondo, GAS, bilanci di giustizia, realtà di finanza etica e di turismo responsabile, cooperative sociali, cooperative ed associazioni.

L’idea del distretto di economia solidale è nata dunque da una riflessione che si sta svolgendo a livello internazionale e italiano sull’opportunità di creare reti tra le diverse realtà che operano secondo una concezione solidale dell’economia a partire dalla dimensione locale.

All’interno di queste reti circolano beni e servizi scambiati tra le diverse realtà oltre che valori ed idee e si creano spazi di inclusione e di solidarietà; queste realtà hanno quindi un buon livello di conoscenza reciproca ed hanno già maturato esperienze di collaborazione nelle attività preliminari svolte dal distretto[25].

I Partners del Desto sono: a Milano il Forum Cooperazione e Tecnologia, a Torino la MAG4 Società Cooperativa, Iniziative di Solidarietà e Lavoro cooperativa sociale a.r.l., Cooperativa Sociale Comunità Impegno Servizio Volontariato Solidarietà, Associazione Centro Studi Unitario per l’Artigianato Piemontese.

Nella provincia di Torino partecipano: ASCI (Associazione Campagna Amica), Associazione Alma Mater, Coordinamento Provinciale Banche del Tempo, AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), GAS Torino, Cooperativa Harambee, Comune di Torino. Inoltre nella Provincia di Alessandria: ATS Maninfesta, Associazione Rete Nuovo Municipio, Provincia di Alessandria.

Il problema che il DESTO vorrebbe principalmente porre rimedio è quello di alcune fasce di popolazione, segnatamente le donne e i giovani di medio/bassa scolarità al primo impiego, che da sempre trovano difficoltà nell’accesso al lavoro.

Per quanto riguarda i giovani, ad esempio, i numeri sono rimasti nell’ultimo decennio piuttosto alti (121.000 casi nel 2000 in provincia di Torino) e hanno continuato a comprendere per lo più persone con scolarità bassa; spesso il mercato del lavoro offre a questi soggetti solo impieghi precari, i contratti temporanei sono la modalità prevalente, che non permettono, ad esempio, di emanciparsi dalla famiglia di origine.

Anche per le donne l’impiego spesso è di difficile accesso e non consente di avere indipendenza finanziaria: questo fenomeno è tanto più grave se si pensa che negli ultimi anni sono sempre più numerosi i casi di separazioni con figli minori a carico e che, comunque, la ricchezza delle famiglie è costantemente diminuita, rendendo indispensabile l’apporto di un secondo reddito al nucleo familiare[26].

Questi fenomeni sono tanto più gravi, oggi, nella zona di Torino, poiché la crisi industriale ha creato una marcata sofferenza occupazionale e sta determinando anche l’espulsione dal mercato del lavoro di uomini e donne non più giovanissimi (dai 35/40 anni) che, per problemi di età e di qualificazione, terminato il periodo di efficacia dei cosiddetti ammortizzatori sociali, non hanno una ragionevole possibilità di trovare un’altra occupazione.

La disoccupazione involontaria è quanto mai estesa anche nelle zone montane, segnate dall’abbandono delle attività agricole e dallo spopolamento; tutto questo potrebbe determinare la nascita di attività imprenditoriali di piccolissima dimensione, da imprese artigiane ad attività di servizi che prevedano l’associazione di 2/3 persone.

Purtroppo questi tentativi di “costruzione di lavoro” si scontrano con la generale mancanza nella nostra società di cultura imprenditoriale, da una parte, e dall’altra con l’impossibilità di accedere al credito.

Queste realtà non possono, ovviamente, rivolgersi alle forme di credito per le imprese, ma neppure a quelle specificatamente dedicate alle cooperative, rispetto alle quali sono in ogni caso sottodimensionate.

Quindi la strategia che il DESTO vuole attuare, oltre a quella di occuparsi di tutte le strategie comuni degli altri DES, è quella di assistere e favorire giovani, donne, disoccupati di lungo periodo, ma anche disabili o migranti nella creazione e nello sviluppo di “embrioni di attività”; queste piccolissime attività imprenditoriali, siano esse imprese artigiane o attività di produzione o di servizi possono trovare nell’economia solidale un terreno fertile per esprimere le proprie potenzialità.

L’economia solidale è, infatti, un ambito in cui gli scambi valoriali si intersecano a pieno titolo con quelli economici e che, per sua stessa natura, offre una maggior attenzione ai bisogni delle persone, e in particolare a coloro che più faticano ad inserirsi produttivamente nella società.

I Distretti di Economia Solidale perseguono una concezione dell’attività economica improntata sui principi di cooperazione e reciprocità, fiducia e rispetto delle persone e dell’ambiente, attenzione alla realtà locale e alle specificità dei singoli attori.

Seguendo questa linea, la presente proposta adotta come strategia specifica per affrontare i problemi identificati la creazione e implementazione di reti locali tra i soggetti dell’economia solidale, che si caratterizzano per questi punti: identificazione di questi soggetti all’interno della singola rete locale, creazione di una alleanza su ciascun territorio tra i diversi soggetti (il “distretto”), promozione dei temi dell’economia solidale presso i consumatori “consapevoli”, ovvero quelli caratterizzati da un’elevata “richiesta di eticità”, per rafforzare la domanda dei prodotti del proprio distretto; si vuole in questo modo attivare dei circuiti virtuosi, sia economici che di relazione, in cui i diversi soggetti si sostengono e ricevono dei benefici.

In particolare, in questa alleanza le nascenti imprese sociali si trovano favorite grazie a diversi fattori: creazione ed ampliamento dei canali di distribuzione dei prodotti e servizi offerti dalle imprese sociali, rafforzamento della domanda di prodotti e servizi ad alto contenuto etico, accesso a forme di finanziamento possibili utilizzando il flusso economico interno alla rete, accesso facilitato a prodotti e servizi offerti dagli altri soggetti della rete.

 Dunque lo scopo è quello di aiutare i soggetti più svantaggiati i quali troveranno nel distretto di economia solidale un ambiente con speciali caratteristiche di attenzione e apertura verso la loro condizione e attraverso di esso troveranno le condizioni per accedere a pieno titolo all’occupazione, da una parte acquisendo le conoscenze e le competenze necessarie attraverso le attività di formazione e di accompagnamento; dall’altra accedendo a strumenti innovativi di finanziamento calibrati sulle caratteristiche e sulle necessita delle piccolissime imprese.

Il distretto è, infatti, un processo economico nuovo, coordinato e partecipato, attento ai valori e alle persone, che non può che portare beneficio al contesto sociale in cui opera: tutti i partecipanti al distretto, ma soprattutto i soggetti più deboli, possono infatti trovare concreti vantaggi in un’economia equa e socialmente sostenibile, che garantisce regole di giustizia, una giusta distribuzione dei proventi e il rispetto delle condizioni di lavoro e dell’ambiente.

Questa proposta possiede caratteri innovativi sia per quanto riguarda il metodo (creazione di un distretto), che per il settore specifico di intervento (economia solidale).

Il distretto vuole raggiungere vari obiettivi che mirino ad aiutare vari tipi di soggetti, siano essi fisici, o istituzionali, il DESTO ha comunque diviso in categorie i soggetti che vuole aiutare.

La prima categoria si occupa di donne, giovani (15-29 anni, inclusi soggetti con bassa scolarità), disoccupati di lungo periodo e/o con età superiore ai 50 anni, disabili fisici che siano in grado di concepire e rielaborare idee imprenditoriali conformate sulle caratteristiche dell’economia solidale; di trasformare gruppi informali in realtà imprenditoriali riconosciute; di sviluppare progetti d’impresa e chiedere le adeguate consulenze gestionali, finanziarie etc. necessaire per lo start-up delle attività (sotto forma di cooperative, cooperative sociali, imprese artigiane); di richiedere gli strumenti finanziari più adatti alle proprie esigenze e specificità.

Disabili psichici e mentali, inseriti come lavoratori all’interno di cooperative sociali di tipo B e di associazioni di promozione sociale, che siano in grado di operare con un buon livello di autonomia rispetto ad operatori ed educatori; di partecipare alle decisioni ed alle responsabilità relative alle attività che sono chiamati a compiere; di svolgere attività qualificate nel settore del marketing, distribuzione, ecc.

Migranti che siano in grado di svolgere un’opera di mediazione culturale inversa rispetto a quella tradizionalmente intesa (ovvero di permettere alle persone che partecipano ad attività di turismo responsabile nel sud del modo, di comprendere le specificità socioculturali proprie dei popoli che stanno visitando).

La seconda categoria mira ad aiutare le cooperative, cooperative sociali, associazioni ed imprese artigiane che fanno parte del distretto in grado di: professionalizzare i posti di lavoro offerti ai propri dipendenti; offrire contratti di lavoro “non atipici” al personale assunto; Utilizzare strumenti di marketing e comunicazione. Il tutto per Rafforzare la propria struttura interna e stabilizzare l’andamento economico dell’attività svolta, accedere e gestire forme di finanziamento adeguate.

 

3.3 Programma di lavoro del DESTO

La costituzione dei Distretti premette lo studio della loro struttura e forma giuridica; innanzitutto il DES deve definire la propria forma giuridica, deve verificare le regole di adesione e quelle disciplinari, verranno creati a questo scopo un organo di indirizzo, un organo attuativo per la promozione, gestione del marchio e verifica dei criteri di adesione, e un centro studi sull’economia solidale.

Per la definizione dell’immagine verranno realizzati gli strumenti di comunicazione istituzionali dalla corporate identity al “logo” che identifica gli aderenti presso i consumatori e che verrà utilizzato presso le sedi o i punti vendita e per la riconoscibilità dei prodotti.

Questa attività verrà svolta dalla ATI guidata dalla Coop. MAG4 Piemonte, avvalendosi di uno studio di comunicazione professionale.

Per quanto riguarda la logistica e punti vendita e per la distribuzione dei prodotti del distretto verrà avviato un sistema di distribuzione e verranno aperti alcuni nuovi punti vendita, ci sarà la creazione di software open-source per la distribuzione/ approvvigionamento dei prodotti/ servizi dentro e fuori dal distretto.

Verranno analizzate le esigenze logistiche e saranno identificate le zone scoperte dall’offerta di prodotti solidali, si avvierà successivamente la distribuzione, rivedendola in seguito alle verifiche dopo i primi mesi e verranno aperti i punti vendita.

Altro lavoro che il DESTO deve compiere è analizzare la situazione socio-demografica della zona e valutare costantemente i dati, quindi il gruppo di lavoro deve fare Indagini sulla domanda/offerta di beni a “contenuto etico”; fare ricerca socio-demografica sui temi dell’economia solidale e sui consumatori potenzialmente sensibili. Esso deve svolgere un’analisi qualitativa, con focus-group, della domanda da parte di soggetti già attenti al consumo critico, presidiare sia la domanda attraverso il rapporto con gli stakeholders curato dai soggetti del distretto e che gestiscono luoghi pubblici, che l’offerta attraverso la rete di attori del distretto e fare aggiornamento dei dati sull’offerta utilizzati per “Fa la cosa giusta” (mappa dell’economia solidale in Piemonte e Valle d’Aosta).

Inoltre ha il compito di fare la mappatura della domanda e dell’offerta, valutarne l’esistenza attraverso lo studio degli attori, delle esperienze e dei contesti territoriali e definire i modelli condivisi di DES. Deve quindi definire i modelli interpretativi dei fattori critici, e di successo per degli ambiti di sviluppo, deve fare l’analisi delle best practises italiane e straniere e inoltre monitorare le istanze di soggetti deboli o svantaggiati, potenziali produttori e consumatori di beni/servizi del Distretto e creare un luogo di incontro e scambio che offra servizi specifici (ad esempio un phonecenter).

Altro punto fondamentale nel programma di lavoro del DESTO è quello di dare supporto alla creazione di nuove imprese si economia solidale; questo viene fatto all’interno del distretto attraverso l’effettuazione di attività di formazione specifica per l’acquisizione della capacità di gestire reti ed operare in rete per la creazione di “facilitatori ecosolidali”.

Altra attività di formazione svolta dal movimento è quella di fare offerte alle scuole superiori del distretto ad indirizzo turistico e/o sociale, per simulare la creazione di imprese di economia solidale. Oltre a queste attività appena citate il DESTO offre sostegno alla creazione di impresa per giovani e donne, con metodi quali il mentoring e tutoring; si adopera inoltre nella Creazione di attività turistiche, secondo i principi dell’”Associazione Italiana Turismo Responsabile”, con destinazioni nazionali ed estere, con particolare attenzione alla valorizzazione di alcune destinazioni localizzate nel distretto della Provincia di Torino, secondo quattro tematiche: gli antichi mestieri nelle aree rurali e montane del Piemonte, la storia industriale dei quartieri operai di Torino, la realtà multietnica della nuova Torino le forme di cultura giovanile in ambito metropolitano.

Il DESTO nei propri progetti ha quello di lavorare, oltre che per creare nuove realtà, quello del rafforzamento delle imprese di economia solidale che già esistono all’interno del territorio Piemontese.

Quindi il programma di lavoro prevede che i soggetti aderenti al distretto aiuti le imprese in ambito economico e gestionale per coniugare buone pratiche di gestione ed amministrazione e una buona qualità del lavoro attraverso la definizione degli obiettivi, l’analisi di bilancio condivisa da tutti i partecipanti della realtà, la gestione delle risorse umane e delle dinamiche di gruppo, la definizione degli organigrammi e mansionari delle procedure interne, la riorganizzazione amministrativa, contabile e fiscale e l’eventuale attivazione di bilancio sociale e prestito sociale.

Deve inoltre aiutare le imprese nella formazione specifica che verterà sia sugli aspetti valoriali tipici dell’economia solidale, che sugli aspetti più strettamente tecnici, attraverso la Realizzazione di strumenti formativi e informativi cioè la documentazione sulle buone pratiche, sulle norme e sulle possibilità di sviluppo delle attività, con l’aggiunta della creazione di software open-source che integri le esigenze peculiari del no profit co e della gestione amministrativa tradizionale.

Dopo aver fatto questo deve supportare l’acquisizione di autonomia operativa e gestionale da parte di disabili nell’avvio o strutturazione di nuove attività all’interno di realtà esistenti; nello specifico il progetto sta lavorando nella creazione di un laboratorio di falegnameria e nella realizzazione di un laboratorio itinerante per il noleggio di biciclette durante manifestazioni ed eventi.

Altro progetto in cui il distretto sta lavorando è quello della sperimentazione di un meccanismo di carte di fidelizzazione, le quali sono prepagate e ricaricabili, e vengono acquistate in euro ma il loro valore è misurato con un’unità di conto non monetaria e possono essere utilizzate presso tutti i punti vendita e le realtà del distretto per l’acquisizione di prodotti e servizi.

L’acquisto delle carte costituisce una sorta di pre-finanziamento interno al distretto: in una percentuale determinata, le somme vanno a confluire in un fondo, gestito da MAG4, per finanziare le realtà che aderiscono al distretto ed accettano le carte, ma anche nuove realtà imprenditoriali. Il sistema permette di accumulare capitale a costo zero, concedendo quindi finanziamenti a tassi “sussidiati”, con meccanismi e procedure improntati sui principi ed i valori dell’economia solidale e della finanza etica.

Le fasi di sperimentazione sono l’analisi dei requisiti formali-legali e studio delle modalità di implementazione, predisposizione di supporti tecnici ed informatici, modalità di funzionamento e regolamento interno e predisposizione dello start-up che consiste nella formazione del personale, nell’acquisto della strumentazione tecnica e nella formalizzazione del meccanismo. Il progetto si estende allo Studio degli strumenti di comunicazione per la presentazione del meccanismo all’interno del distretto ed in seguito alla popolazione, nel lancio della campagna di presentazione e avvio dell’idea, nonché nel monitoraggio e diffusione costante dei risultati via via raggiunti.

Ultimo progetto in fase di realizzazione all’interno del distretto è quello riguardante l’Elaborazione di format e strumenti di comunicazione per i soggetti dell’economia solidale (bilancio sociale, materiali di presentazione, newsletter, ecc.).

Questo viene fatto attraverso la realizzazione di una porzione di sito web integrato con i servizi del distretto dedicato e promozione di una relativa web community, con la programmazione e realizzazione di tre eventi a carattere internazionale e la realizzazione di strumenti di autoformazione in ambito comunicativo; questo lavoro è stato diviso in tre sottofasi con lo scopo di ottenere una maggiore attenzione al progetto complessivo.

La sottofase uno consiste nell’identificazione delle strategie comunicative e dei soggetti moltiplicatori di informazione/sensibilizzazione, nell’elaborazione di piani marketing e nella progettazione di attività di approfondimento tematico in scuole e agenzie educative. Inoltre devono fare promozione e accompagnamento alla costituzione di gruppi di interesse su base territoriale ed elaborare i progetti di animazione del territorio con attività divulgative (mostre, spettacoli, drammatizzazioni).

La sottofase due si completa nell’identificazione di un’area e sperimentazione degli strumenti messi in atto nella sottofase uno nell’area test e nella revisione e messa a punto degli strumenti realizzati precedentemente, identificando le variabili ambientali.

Infine nella sottofase tre bisogna solo che si replichi le attività delle sottofasi precedenti in altre aree.

 

3.4 I partner, i rispettivi ruoli e la percentuale di budget all’interno del distretto

Il Desto è composto da una serie di partner, i quali partecipano sia nella formazione ed attuazione dei progetti, che nella formazione del budget.

La principale è MAG4 Società Cooperativa la quale da sola copre il 54,8% del budget totale del distretto. L’apporto principale della Cooperativa MAG4 nell’organizzazione interna del distretto, si concretizzerà nella costituzione di un’Associazione Temporanea di Impresa (ATI), di cui sarà il capofila, formata dalle realtà del Distretto di Economia Solidale che hanno aderito alla proposta. MAG4 svolge un ruolo di coordinamento tra i soggetti costituenti l’ATI, definendo l’organizzazione interna e le modalità di lavoro tra i membri. Inoltre predispone gli adeguati strumenti tecnici ed organizzativi per gestire le procedure finanziare e di rendicontazione tra il soggetto referente ed i membri dell’ATI. Cura inoltre i processi di autovalutazione a livello di comitati di gestione.

Altra importante società che da la possibilità al Desto di esistere è Iniziative di Solidarietà e Lavoro cooperativa sociale a.r.l. che partecipa con il 16,4%. Essa cura gli aspetti relativi alla strategia di comunicazione interna ed esterna del distretto, promuovendo un’azione efficace da parte di tutte le realtà coinvolte, evidenziando le caratteristiche essenziali delle attività di economia solidale e inoltre coordina le attività relative alla realizzazione del software di sostegno al distretto e ai relativi membri.

C’è poi la Cooperativa Sociale Comunità Impegno Servizio Volontariato Solidarietà la quale partecipa al budget con la stessa percentuale della Cooperativa sociale. Il suo ruolo è quello di supervisionare e organizzare le relazioni transnazionali e la costituzione della partnership transnazionale. Provvede al coordinamento delle seguenti attività: attività di formazione offerte alle scuole superiori del distretto ad indirizzo turistico e/o sociale, per simulare la creazione di imprese di economia solidale; sostegno alla creazione di impresa per giovani e donne, attraverso mentoring e tutoring. Accompagnamento delle realtà aderenti nei processi di autovalutazione.

Partecipano in misura meno importante dal punto di vista di copertura del budget, ma non meno importante per il lavoro che da loro viene svolto, il Forum Cooperazione e Tecnologia con l’8,2% e l’Associazione Centro Studi Unitario per l’Artigianato Piemontese con il 4,2%.

 L’Associazione Forum Cooperazione e Tecnologie provvede alla predisposizione e messa in opera delle procedure di gestione dei contributi finanziari e della relativa certificazione e contabilizzazione. Il suo contributo specifico nell’ambito delle attività svolte durante l’implementazione del progetto verte sull’elaborazione ed applicazione di modelli, metodi e strumenti per la gestione di reti di attori, sulla formazione ed accompagnamento nella preparazione dei gestori della rete del distretto di economia solidale e dei destinatari delle attività che dovranno operare in rete, sui processi di apprendimento collaborativo e sistemi di monitoraggio “continuo” dell’impatto del progetto su enti, reti ed altri soggetti operanti nel contesto territoriale di riferimento (attraverso il ricorso a metodi e tecnologie di rete), attività di raccolta e di elaborazione dati necessari per la realizzazione delle attività programmate.

L’Associazione Centro Studi Unitario per l’Artigianato Piemontese invece opera sulla base delle sue competenze specifiche nel settore dell’artigianato piemontese, svolge un ruolo di coordinamento delle attività di ricerca e di sensibilizzazione sulle imprese artigiane, indirizzato nello specifico a vagliare le possibilità e le modalità di inserimento delle imprese artigiane all’interno del distretto e da sensibilizzare queste realtà sulle tematiche dell’economia solidale.

CAPITOLO IV

CONFRONTO CON I DISTRETTI TRADIZIONALI

4.1 Analisi e situazione dei Distretti tradizionali

 Il distretto industriale italiano è un’organizzazione economica atipica che all’inizio della sua storia andava contro tutte le teorie degli studiosi di economia, però con il tempo è diventato esso stesso oggetto di studio da parte degli economisti, a causa del suo immenso successo, che ha aiutato il nostro Paese a svilupparsi e progredire economicamente.

La caratteristica del distretto è quella di essere composto da numerose imprese di piccole dimensioni, aggregate in un limitato ambito geografico; può essere definito un mercato nel mercato! All’interno di esso si attuano scambi, transazioni economiche, rapporti fiduciari e di cooperazione, competizioni locali, innovazioni incrementali, ed imitazioni dell’innovazione, formazione tacita del lavoro, scambio di informazioni tra costruttori ed utenti dei macchinari e della tecnologia, crediti concessi dalle banche locali e infine apporto di macchinari da parte di imprese nei confronti dei loro terzisti e dei loro subfornitori.

Le imprese poi competono anche nel mercato esterno, vendendo e sviluppando una propria rete commerciale nel mercato internazionale, acquistando le materie prime al di fuori del distretto, comprando taluni complessi macchinari all’estero, realizzando, recentemente, delocalizzazioni produttive per le fasi de-spacializzate e a basso valore aggiunto.

Queste caratteristiche sono però di carattere puramente tecnico, e non possono da sole spiegare il successo avuto, infatti il distretto al suo interno riesce a creare un ambiente ideale affinché si moltiplichino e si accrescano le relazioni ripetute tra gli attori economici.

La combinazione di una molteplicità di piccole imprese compressa in uno spazio geografico limitato dà luogo all’atmosfera industriale, il quale è il vero fulcro del distretto, che è l’invisibile motore dinamico e innovativo del distretto. Essa circoscrive ed avvolge il distretto industriale, conferendogli dinamicità e mobilità interna, ma staticità esterna.

Al suo interno, il distretto è un insieme di lavoratori, di macchine che operano senza fermarsi, di artigiani e disegnatori concentrati a produrre ed a progettare fino alla sera. L’atmosfera industriale non può espandersi rapidamente, pena l’esistenza stessa del distretto; esso trae la propria forza, ed identità, dalla capacità dei propri componenti di apprendere mestieri, rinnovarli e ritrasmetterli nuovamente arricchiti. È questo un processo autonomo che si rigenera incessantemente nel tempo accumulando sapere, conoscenze e tradizione.

Il fatto che i ragazzi crescendo respirino nell’atmosfera industriale l’abilità ed il gusto per il lavoro, apprendendo inconsapevolmente capacità e segreti produttivi, ci conduce al concetto di conoscenza tacita, la cui trasmissione si avvale di un linguaggio informale, quello tra maestro e allievo. Inoltre all’interno del distretto gli imprenditori hanno la possibilità di conoscersi personalmente e spesso sono anche legati da vincoli di parentela, per cui certi contratti vengono stilati addirittura verbalmente, e supportati da una semplice stretta di mano. Per questo motivo all’interno del distretto la sanzione sociale per comportamenti economici scorretti è elevata[27].

Il distretto ha quindi una propria struttura autonoma, separata ed unita contemporaneamente a quella della singola impresa: unita, in quanto l’esistenza del distretto dipende dall’esistenza delle singole unità produttive al suo interno, separata, in quanto il distretto non dipende dall’esistenza di un’unica impresa, ma dalla sopravvivenza della massa critica delle imprese del distretto. Infatti all’interno di una determinata soglia, un certo numero di imprese può cessare la propria attività senza mettere a repentaglio l’esistenza del distretto industriale.

Tra gli anni ottanta e novanta si sono avute delle trasformazioni che hanno radicalmente mutato l’ambiente competitivo nel quale si confrontano le imprese, è inoltre mutato il ruolo del conteso locale e del territorio.

Il cambiamento in atto e l’estrema mobilità dei fattori produttivi non ridefinisce soltanto i poteri e la sfera d’azione dello stato nazionale ma si riflette anche sulle dinamiche locali.

L’analisi dei distretti mostra, nel mondo contemporaneo, segnali di stanchezza; il distretto rappresentava un’unità di indagine dell’economia industriale, configurata per un’economia nazionale sostanzialmente chiusa, nella quale il mercato era sufficientemente regolato e stabile nel tempo.

Il concetto socio-economico del distretto, si basava su elementi di continuità e di riproducibilità che oggi sono minacciati e dispersi dalle forze discrepanti dell’economia aperta. Il prevalere dell’incertezza strutturale determinata dalla tensione tra forze centrifughe e centripete, rende l’analisi distrettuale inadeguata a carpire le nuove leggi dinamiche dell’economia aperta.

Infatti la competizione non è più prevalentemente interna al distretto, ma coinvolge competitori esterni provenienti da realtà istituzionali, sociali e culturali totalmente differenti. La competizione globale minaccia il distretto in quanto totalità, piuttosto che alcune singole imprese appartenenti al distretto. Non si tratta, come avveniva in precedenza, di un processo selettivo tra le imprese distrettuali, che conduce ad un’auspicabile selezione degli operatori economici più efficienti.

Il processo selettivo in atto incrina il concetto classico di distretto come modalità produttiva e riproduttiva atta a fronteggiare un mercato economico globale. Taluni distretti sono riusciti a destreggiarsi molto abilmente nel mercato internazionale, riuscendo a vendere i propri prodotti, il cosiddetto Made in Italy, in nicchie di mercato internazionale in segmenti ad alto valore aggiunto. Tuttavia i distretti italiani sono presenti in settori maturi, mentre sono praticamente assenti nei settori high-tech o in quelli connessi alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ciò comporta che la popolazione di imprese distrettuali che si posiziona nella fascia bassa e medio bassa del settore di riferimento, fatica a preservare la propria quota di mercato dall’assalto dei competitori stranieri dei paesi in via di sviluppo che possono vantare bassi costi salariali e istituzionali: fiscali, normativi ed ambientali. Inoltre queste imprese, subiscono la pressione delle grandi multinazionali che riescono, standardizzando il prodotto, a ottenere elevate economie di scala e di distribuzione.

Il distretto è poi caratterizzato da un’innovazione che cresce con il passare del tempo. Le nuove sfide competitive sono caratterizzate dalla velocità e dalla discontinuità; piuttosto che innovazioni di processo, risultano vincenti le innovazioni di prodotto e di mercato, queste però faticano ad emergere all’interno del distretto.

Il distretto è però un sistema chiuso, per questo motivo, è a rischio; le trasformazioni sociali insidiano e corrompono gli elementi di riproducibilità.

Il distretto ha curato la componente economica in un ambiente istituzionale consolidato nel tempo, caratterizzato da reti relazionali e fiduciarie costruite e sedimentate in ambiti sociali, non economici. La congiunzione di queste due dimensioni ha originato la caratteristica socio-economica del distretto.

Tuttavia le evoluzioni di queste due dimensioni hanno proseguito con tempi e traiettorie dissimili, i policy maker si sono occupati e preoccupati della crescita delle relazioni tra le imprese, dei loro percorsi di sviluppo, delle esternalità e della diffusione tecnologica, ovvero degli elementi di riproducibilità del tessuto economico. Essi hanno però commesso l’errore di dare per scontata la riproducibilità del tessuto sociale, che non è avvenuta o è maturata con una tempistica differente rispetto a quella economica. Il risultato è che, nella realtà contemporanea, il cambio generazionale è una minaccia reale per molti distretti italiani, nei quali si registrano chiusure di piccole imprese, pur in presenza di prospettive di mercato favorevoli, in quanto manca l’erede per la successione, per i motivi che vedremo fra breve.

L’eccessiva “personalizzazione” delle piccole imprese distrettuali è conseguente ad un’altra problematicità; il distretto ha dimostrato di avere una notevole dinamica interna, solo che tende a non crescere nel tempo, non solo nel numero delle imprese che appartengono al distretto, ma soprattutto nella loro dimensione media, le singole imprese dunque faticano a crescere. Con la crescita delle imprese non si intende soltanto la questione dimensionale, ovvero il numero degli addetti, ma il fatturato, la capitalizzazione, la trasformazione della forma giuridica in società di capitali, l’organizzazione della produzione. Sicuramente la rete tra le imprese può anche perseguire operazioni economiche di rilievo, precipitando le distinte fasi produttive in altrettante distinte imprese, con la conseguenza che la piccola dimensione non è di per se un limite. Non bisogna però credere che sia un vantaggio; nei momenti di grande trasformazione economica la piccola impresa, solitamente così flessibile, può pagare il prezzo di un eccessivo radicamento e pertanto di una resistenza alla trasformazione.

Il paradigma tecnologico delle Tecnologie dell’informazione e comunicazione (Tic), è totalmente esterno ed in discontinuità rispetto all’evoluzione distrettuale. Il “precedente paradigma elettronico”, mediante l’introduzione delle macchine a controllo numerico, ha velocizzato e reso più flessibile, senza però snaturarla, la precedente organizzazione produttiva. Il nuovo paradigma tecnologico non è orientato a velocizzare l’attuale divisione del lavoro ed organizzazione produttiva, ma a decomporla per poi ricostruirla in modalità totalmente differenti; esso provoca una rottura rispetto alle precedenti relazioni produttive interne ed esterne all’impresa.

Il distretto, che è sempre evoluto per continuità incrementali, fatica a recepire un processo di rottura tecnologica ed organizzativa di tali proporzioni[28].

Queste condizioni indeboliscono il distretto, la cui identità viene minacciata dalla mobilità e dalle trasformazioni conseguenti alla competizione globale.

Nella realtà però, l’indebolimento di molti distretti industriali, oltre che per i motivi appena indicati, è riconducibile all’intreccio di altri motivi interni al distretto che non hanno nulla a che fare con la situazione economica che il mondo intero si trova ad affrontare. Quindi tra i motivi interni che hanno contribuito all’indebolimento dei distretti c’è la mancanza del necessario ricambio imprenditoriale, imputabile a macro dinamiche strutturali della popolazione (ad esempio tassi di natalità di poco superiori all’unità), a macro dinamiche dell’istruzione (aumento esponenziale del tasso di scolarità e relativo innalzamento delle aspettative) e a effetti sociali (riduzione del nucleo familiare ed effetto status). A questo motivo segue quello riguardante la gestione conservatrice della concessione del credito da parte delle banche locali, le quali prestando principalmente a fronte di garanzie reali, hanno continuato a sostenere la vecchia imprenditoria a scapito della nuova generazione imprenditoriale, in tal senso sono state motore di inviluppo piuttosto che di sviluppo.

Altro fatto importante è lo scarso trasferimento dei mestieri e delle competenze artigianali tra le generazioni; complice di ciò è l’innalzato livello di scolarizzazione che, agendo sulle aspettative, ha orientato molti giovani verso carriere differenti rispetto all’attività artigianale intrapresa dal padre. È possibile tra l’altro che tra padre e figlio ci sia un trasferimento di competenze obsolete proprio in quei settori produttivi caratterizzati da continue innovazioni tecnologiche. Inoltre l’avversione al rischio d’impresa da parte delle generazioni giovani è totalmente cambiato, questo a causa della rivalutazione del “posto sicuro”, e della consapevolezza dell’insufficienza di competenze necessarie per avviare e gestire nella quotidianità un’impresa, accresciuta nel tempo in complessità. I giovani sembrano aver perso la soddisfazione di gestire un’attività in proprio, e quindi non provano più quell’orgoglio di gestire in prima persona il proprio lavoro, e questo è molto grave, perché era una caratteristica fondante dell’operosità distrettuale.

Infine l’aumentata mobilità sul territorio delle persone e delle imprese ha allentato il senso della tradizione ed ha disperso il sedimentarsi delle conoscenze.

Si è quindi dimostrato che gli elementi dinamici, da tempo in atto, indeboliscono il distretto: sia nella sua competitività che, in misura maggiore, nella sua esistenza, ovvero nella riproducibilità dei fattori caratteristici per la vitalità del distretto, quali ad esempio i valori locali condivisi, in senso di identità e tradizione.

 

4.2 Rimedi possibili per i Distretti

Nel paragrafo precedente sono state evidenziate le varie concause che hanno portato i distretti ad avere delle difficoltà a fronteggiare la pressione dei processi di apertura dei mercati e l’organizzazione economica, quindi la teoria aveva rintracciato nelle reti di impresa, o nell’impresa rete, la risposta ai cambiamenti, sospinti anche dal declino, o forse crollo, del modello fordista, che aveva dominato incontrastato fino agli anni Settanta. Le reti di imprese sembravano così proporre una risposta, al contempo, alla crisi dell’impresa fordista, e alla crisi di “apertura del distretto”.

Con il termine reti di imprese si intendeva un qualsiasi sistema di relazioni tra imprese, organizzato formalmente o tacitamente, in modalità verticale o orizzontale, che faceva ricorso alla gerarchia o al mercato, teso a raggiungere un obiettivo in parte collettivo oltrepassando le consuete relazioni di mercato; erano tutte quelle situazioni nelle quali una pluralità di imprese si relazionano tra loro in maniera più penetrante rispetto alle semplici relazioni di mercato. L’identità della rete ed il senso di appartenenza delle imprese era collegato al loro sistema di relazioni e alla sua efficacia nel riuscire a trasformare conoscenza e risorse potenziali in valore economico; se la conoscenza delle imprese è intrecciata nel territorio, cresce e si sviluppa in virtù degli stimoli territoriali.

Le reti hanno comunque eliso il ruolo del territorio che nella competizione odierna torna a rivestire un ruolo importante.

Accantonata l’idea delle reti si è andati verso la creazione del sistema istituzionale territoriale (o di imprese), il quale si pone come sintesi tra la teoria dei distretti e la teoria delle reti ed è conseguente alla nuova competizione territoriale presente in un’economia aperta e globale.

Il sistema istituzionale territoriale varia l’andamento strategico della competizione: non più competizione tra imprese che si avvalgono di esternalità territoriali, ma competizione tra sistemi territoriali, che si traduce, in un secondo momento, in competizione tra le imprese che interagiscono al loro interno.

Esso si concentra sulla dinamica del territorio, analizzato come una cosa unica in movimento nella quale si intrecciano le dinamiche interne con quelle esterne. L’estensione dei suoi confini è dunque mobile, infatti si allarga progressivamente coinvolgendo altre realtà produttive, e differenti insiemi di valori condivisi; il risultato è però incerto, in quanto la trasformazione può muovere verso un consolidamento del sistema locale, così come condurre al suo sgretolamento.

Gli attori di questo sistema sono in primo luogo le istituzioni locali (Provincia, Camera di Commercio, ecc,), poi ci sono le imprese, che rappresentano la componente esterna, le quali sono mobili e possono aumentare il raggio d’azione del sistema stesso. L’ultima categoria di soggetti è rappresentata dagli attori territoriali che non hanno il mandato territoriale come sono ad esempio le università[29].

Questa sembra essere dunque la risposta economica alla crisi dei distretti da parte dell’economia “classica” del nostro paese.

Oltre a questa ne esiste poi un’altra che è stata elaborata dai soggetti che operano nel ramo dell’economia solidale, i quali negli ultimi anni hanno elaborato un progetto molto importante ed incerto quale è la creazione dei distretti di economia solidale.

I responsabili della creazione dei DES, nel loro programma di lavoro, adottano altri principi per dare una risposta alla crisi dei distretti tradizionali; non vogliono abbandonare, come stanno facendo il movimenti economico di oggi, l’idea straordinaria del distretto, vogliono solo cercare di ricreare quelle caratteristiche che le erano proprie e che oggi stanno andando scemando. Il loro è un lavoro sicuramente durissimo, ma attraverso il sociale, la cooperazione e la buona volontà vogliono cercare di rilanciare il sistema economico ormai in decadenza. La strada che hanno intrapreso è molto lunga, e ad oggi non è dato sapere se questo progetto verrà portato avanti con successo, o se è solo un tentativo utopistico di alcuni soggetti che hanno creduto in un mondo un po’ migliore attraverso l’idea del solidale e della cooperazione tra persone, che vogliono dire no a questo sistema economico che ci rende schiavi di noi stessi e dei nostri, spesso inutili, consumi.

Si è detto all’inizio del capitolo dei motivi che hanno portato alla decadenza del distretto, oltre che ad essere di natura prettamente economica, cioè dell’apertura dei mercati e della globalizzazione, sono anche interni ai distretti, in quanto sta venendo a mancare l’atmosfera industriale, che era assieme al territorio l’elemento caratteristico del distretto. I DES vogliono cercare di ricreare quest’atmosfera attraverso la cooperazione e la reciprocità tra i soggetti economici, vogliono poter avere la possibilità di concludere accordi come un tempo, con la semplice stretta di mano, vogliono poter lavorare assieme rispettando i principi di giustizia e rispetto reciproco, ed aiutare le realtà che, nel mondo, necessitano veramente, sapendo che quello che fanno lo fanno per motivi giusti, e che la conseguenza dei loro consumi porta ad un aiuto non solo dei paesi del Sud del mondo, ma anche alle persone che ci stanno accanto.

L’idea del DES vuole essere importante e per questo si è capito che da solo un distretto non potrebbe fare molto; per questo essi sono supportati dalle reti di economia solidale, che hanno il compito di supportarli e di dare la possibilità loro di poter trasferire conoscenza tacita, la quale era anch’essa caratteristica fondamentale dei distretti e sembra che anche questa sia venuta meno negli ultimi decenni. Cerando di riprendere queste importanti caratteristiche i DES si candidano, come il sistema istituzionale territoriale, a soppiantare i “vecchi distretti” nell’economia moderna.

L’idea del DES (e dunque della rete RES), va oltre le strategie economiche che mirano al massimo guadagno personale dell’imprenditore, ed è quella suggerita da Euclides Andrè Mance, il quale prevede, all’interno della sua rivoluzione delle reti, la tessitura di reti di collaborazione solidale tra i vari soggetti dell’economia solidale, organizzati in cellule di consumo e in cellule di produzione di beni e servizi[30], dove le prime corrispondono in pratica ai gruppi di acquisto solidali e le seconde alle imprese sociali. La rivoluzione delle reti ci insegna come l’alternativa post-capitalista all’attuale forma della globalizzazione non vada cercata nelle singole esperienze, ma nel loro intreccio. In questa prospettiva, l’attivazione di reti locali e la creazione di reti lunghe non sono in contraddizione ma corrispondono agli elementi portanti di un’unica strategia: “Il rafforzamento delle società locali, attraverso il progetto di sviluppo locale autosostenibile può consentire l’attivazione di strategie lillipuziane, tessendo reti non gerarchiche (Sud-Sud, Sud-Nord, fra città e regioni), un fitto reticolo in grado di contrastare le grandi reti, fortemente centralizzate, della globalizzazione economica”[31].

I fondatori del progetto DES dunque non vogliono, nel loro lavoro, dare solo la risposta alla crisi dei distretti, ma vogliono dare una risposta ben più ampia che coinvolge la crisi dell’economia mondiale. Ci si è resi conto che non è possibile che il prezzo del caffè pagato ai produttori del Sud del mondo si sia abbassato del 90% in cinque anni, quando il prezzo di una tazzina in Europa è aumentato di dieci centesimi, che non si può più pagare centinaia di euro per un paio di jeans quando le case produttrici sfruttano gli operai e non rispettano nessuna norma ambientale, che non si può più giocare a calcio con palloni di cinquanta euro prodotti dalle piccole mani di poveri bambini Pakistani che guadagnano neanche una decina di euro al mese, ed infine che non è possibile che negli ultimi anni siano aumentati i poveri nel mondo e che i ricchi si siano arricchiti ancora di più.

Quindi alla luce di queste realtà il CEeS cerca di dare un’alternativa alle falle della globalizzazione che negli ultimi anni ha portato alla crisi dei nostri distretti in Italia e all’aumento della povertà nel mondo.

I DES sono dunque l’alternativa Italiana a questa battaglia che vuole portare alla vittoria il mercato giusto e solidale e che vuole far soccombere i rappresentanti di un mercato ingiusto e di pochi.

 

4.3 Confronto fra i due tipi di distretto

Alla fine di questo elaborato vorrei provare a confrontare due tipi di distretto citati precedentemente: i distretti industriali e i DES.

Queste due organizzazioni economiche al loro interno hanno sia elementi in comune che differenze.

Gli elementi che li accomunano sono principalmente il territorio e l’atmosfera industriale, che da entrambe le parti svolge un ruolo determinante per la loro esistenza. Queste caratteristiche comuni hanno però al loro interno delle differenze molto importanti, infatti mentre il distretto industriale è a se stante, e cioè isolato dagli altri distretti,il DES è collegato a tutti gli altri dalla rete RES, che da loro la possibilità di essere praticamente un unico grande distretto dislocato su territori diversi. Questa peculiarità che ha in più il DES è di non poco conto, poiché le permette di esportare conoscenza utile da una realtà all’altra con estrema semplicità, inoltre le permette di trasferire l’atmosfera industriale, la quale non è trasferibile solo all’interno di un unico distretto, ma condivisibile con gli altri.

Infatti il DES grazie alla natura dei propri attori, che sono mossi principalmente da principi solidali, riesce a trasferire con facilità un’atmosfera di convivialità e complicità che solo i distretti tradizionali al loro interno riuscivano a creare. Questo perché nel corso della mia ricerca, anch’io personalmente ho avuto la possibilità di conoscere alcune persone di questo movimento, sia personalmente che attraverso le mailing-list; tra queste si respira un’aria piacevole e conviviale, in quanto sono tutti profondamente amici e cordiali con chiunque e si aiutano vicendevolmente nella realizzazione degli obiettivi comuni, basti pensare, ad esempio, che quando sono andato ad un convegno sui DES a Pesaro sono stato invitato a casa da persone che non conoscevo, e tutti sono stati molto disponibili e cortesi con me. Attraverso la mailing-list ho avuto la possibilità di reperire molto materiale su questo argomento, bastava scrivessi un’e-mail che decine di persone mi rispondevano dandomi consigli e materiale utile per il mio lavoro. Oltre a questo, ho potuto vedere che tra di loro c’è un’intesa ed una complicità che solo in persone veramente determinate ho potuto apprezzare.

Questa potrebbe essere paragonata all’instaurazione di una futura atmosfera industriale simile a quella dei Distretti tradizionali, e forse potrebbe anche divenire più efficace della tradizionale atmosfera industriale stessa, poiché questa non si sta perdendo, ma si sta formando; bisognerà poi vedere se si formerà in maniera importante e seria o se rimarrà una piccola nicchia come è in questo momento.

Queste sono le caratteristiche che accomunano le due realtà dei distretti industriali e dei DES. Questi ultimi sembrano avere teoricamente qualcosa in più.

Questo lo sostengo perché questo movimento non è mosso da imprenditori che mirano al massimo guadagno possibile, ma da persone che vogliono il bene di tutti, e che per questo motivo cercano di fare tutto quello che fanno con il massimo impegno ed abnegazione, come veniva fatto dai vecchi imprenditori dei distretti.

Oltre che ad avere degli elementi in comune hanno anche delle differenze molto profonde, tra queste la più importante riguarda il campo nel quale operano.

Infatti il distretto industriale opera cercando di sottostare alle regole proprie del mercato globale, mentre i DES operano all’interno dell’economia solidale. Questa differenza è fondamentale, infatti i Distretti industriali stanno lottando con le regole che sono imposte dalle grandi multinazionali, le quali dettano le regole di concorrenza (apertura del mercato, minimizzazione dei prezzi, ecc,) a cui l’intero mondo economico deve sottostare; i DES a loro volta non accettano questo mercato, anzi vogliono affrontarlo e soppiantarlo con l’utilizzo dell’economia solidale, perché sono sicuri che la globalizzazione sia un modo di fare economia non del tutto giusto.

Altra differenza che contraddistingue il DES è quella di organizzare delle feste aperte al pubblico. Questa caratteristica, secondo me è molto importante, per il semplice fatto che attraverso queste fiere viene data la possibilità a tutti di partecipare al movimento (attraverso gli acquisti), per questo motivo il DES può poi divenire un movimento che racchiuda al suo interno la collettività tutta. Non è dunque un caso che molte realtà siano nate dalla sperimentazione di queste fiere.

Fino ad ora queste feste infatti sono risultate dei veri e propri successi, poiché ogni volta che vengono ripetuti aumentano sia il numero di persone che vi partecipano, che di quelle che alla fine comprano prodotti dell’economia solidale; questo sta a significare che si sta cominciando a togliere fette di mercato al sistema economico tradizionale.

Forse il confronto fra queste due realtà della nostra economia è prematuro, poiché i distretti di economia solidale descritti sono ancora molto giovani ed in alcuni casi non si sono ancora formati. sono comunque delle realtà di cui penso sentiremo molto presto parlare, anche perché dai dati che sono riuscito a raccogliere nel corso di questi studi ho potuto rilevare che c’è un grosso incremento verso questo tipo di mercato, forse dovuto anche al fatto che la gente, a causa della crisi mondiale, comincia ad esserne sensibile.

Ho quindi cercato di raccontarle nei loro tratti essenziali e puramente teorici (anche se ho potuto analizzare il DESTO, che è una realtà del nostro Paese assolutamente nuova e viva). L’idea di base da cui sono nate queste realtà è buona e quindi non priva di fondamento, sicuramente non è nemmeno paragonabile dal punto di vista dei risultati ottenuti dai nostri famosi distretti industriali, che negli ultimi decenni hanno praticamente portato avanti la nostra economia. Ho comunque voluto guardare avanti per poter vedere se qualcosa sia possibile fare, perché in questo periodo sento un forte disagio da parte della collettività verso il modo di governare e di gestire l’economia da parte delle maggiori potenze mondiali, che attuano, attraverso le loro scelte, criteri di sviluppo che non sono del tutto condivisibili sia dal punto di vista economico, che da quello umano.

 

CONCLUSIONI

Dall’esame e dall’analisi da me svolta in questa tesi risulta importante il lavoro che stanno svolgendo il Fair Trade e i Distretti di Economia Solidale, sia dal punto di vista economico che da quello sociale.

Il Commercio Equo e Solidale infatti è il perno economico all’interno del quale gira l’intera idea che è stata proposta in questa tesi, esso è il campo dove i DES si devono muovere e confrontare con il resto del mercato.

Il CEeS opera utilizzando regole e principi totalmente diversi da quelli utilizzati dall’economia che domina il nostro sistema economico; cambia dunque l’idea di commercio, transazione economica, speculazione, ecc. I risultati che negli ultimi anni ha ottenuto questo modo di fare economia dà molta fiducia e speranza che qualcosa di nuovo possa essere fatto. Per questo le organizzazioni sociali del nostro paese, come ad esempio la rete lilliput, i Gas, le MAG, ecc, hanno pensato di fare il passo successivo, perché se la rete del Fair Trade evitasse di misurarsi con le sfide commerciali del presente, se rinunciasse a “invadere il campo” delle grandi aziende e dei loro prodotti di massa, se non volesse costruire alleanze con la finanza solidale, coi movimenti per i diritti del lavoro e dei consumatori, ecc, rischierebbe di trovarsi su un’isola, custode della propria identità e purezza ma con un ruolo di semplice testimonianza.

Quindi adesso gli attori del CEeS cercano di aprirsi ancora di più all’esterno, stabilendo nuove e più forti alleanze. Si vuole accentuare il ruolo di cerniera fra Nord e Sud del mondo, fra iniziativa economica e consumo critico e porre con più forza una questione rimasta troppo marginale anche negli ambienti antiliberisti, ossia la necessità di “pagare il conto”, di anticipare le proprie utopie con una forte revisione dei comportamenti, riducendo i consumi migliorandone la qualità.

Oggi sappiamo, grazie a trent’anni di commercio alternativo, che è possibile stabilire rapporti economici basati sul rispetto reciproco, sull’estensione dei diritti, sull’equità degli scambi, sulla tutela delle risorse naturali, perciò l’obiettivo di rovesciare la logica con cui si scrivono i trattati internazionali non ha più i contorni di un’improbabile utopia.

Questo bisogno di cambiamento ha portato alla formazione delle cellule delle reti solidali le quali si moltiplicano nell’ambito di Distretti d’Economia Solidale che includono consumatori, produttori, commercianti, artigiani e piccoli imprenditori.

Lo scopo di ciascuna cellula è quello di alimentare l’altra, infatti i membri acquisteranno beni e servizi tra di loro e tutti acquisteranno merci nei negozi che aderiscono alla cellula. La rete così può crescere e allargarsi secondo valori e modelli che si propongono di massimizzare il benessere collettivo e la tutela dell’ambiente.

La proposta dei DES è stata dunque lanciata nel maggio 2003 con la “Carta per la rete italiana di economia solidale”. Scopo di questa iniziativa è quello di diventare uno strumento di cooperazione e di politica nazionale, una prassi economica che si muove nella logica di una globalizzazione dal basso, democratica e decentrata.

Il distretto si proporrà di creare un circuito economico, sociale e culturale tra le realtà locali dell’economia solidale in modo da poterle rafforzare, e nello stesso tempo cercherà di fornire prodotti ai consumatori critici che chiedono prodotti e servizi rispettosi delle persone e dell’ambiente.

Lo sviluppo dei distretti ha la prospettiva di valorizzare le risorse del luogo, creare occupazione e difendere le fasce deboli della popolazione.

La presenza di realtà concrete all’interno del nostro territorio sono la conferma che qualcosa all’interno della nostra economia sta cambiando

Il DES Torino ad esempio, attraverso i suoi primi lavori vuole riuscire, oltre che nell’intento di creare un luogo di mercato alternativo, anche quello di trovare nuove occupazioni per persone che mai sarebbero riuscite a trovarne uno.

Quindi la strategia che il DESTO vuole attuare, è quella di assistere e favorire giovani, donne, disoccupati di lungo periodo, ma anche disabili o migranti nella creazione e nello sviluppo di “embrioni di attività”; queste piccolissime attività imprenditoriali, siano esse imprese artigiane o attività di produzione o di servizi possono trovare nell’economia solidale un terreno fertile per esprimere le proprie potenzialità.

In particolare, in questa alleanza le nascenti imprese sociali si troveranno favorite grazie alla creazione ed ampliamento dei canali di distribuzione dei prodotti e servizi offerti dalle imprese sociali, al rafforzamento della domanda di prodotti e servizi ad alto contenuto etico, all’accesso a forme di finanziamento possibili utilizzando il flusso economico interno alla rete e inoltre all’accesso facilitato a prodotti e servizi offerti dagli altri soggetti della rete.

Il DESTO non è l’unico progetto presente in Italia, infatti ci sono numerose cellule di economia solidale (Milano, Roma, Lucca, Marche, ecc) che stanno cercando di diventare delle realtà concrete ed affermate all’interno del panorama Italiano e Mondiale, questo con lo scopo di ottenere i risultati auspicati dal movimento dell’economia solidale.

Il nome che portano queste organizzazioni economiche hanno poi inevitabilmente creato l’esigenza di paragonare queste nuove realtà con i nostri tradizionali distretti industriali, i quali stanno avendo negli ultimi anni una flessione importante.

Da questa analisi è risultato importante il ruolo che l’economia solidale, cui si ispirano i DES, sta avendo nel nostro sistema economico rispetto alla globalizzazione. Questo diverso campo di lavoro sembra essere la caratteristica chiave che sta per lanciare i DES da una parte e frenare i distretti industriali dall’altra.

In definitiva appare chiara la differenza prospettiva che anima l’economia solidale rispetto all’economia di mercato intesa in senso tradizionale, e in particolare rispetto ad alcuni modi di competere che sembrano caratterizzare l’attuale processo di globalizzazione. In molte circostanze, gli attori multinazionali sembrano operare con scarso rispetto per le persone, per la terra, e tendono ad ampliare, attraverso comportamenti coerenti con le logiche strategiche e organizzative più diffuse, il divario tra aree ricche ed aree povere del mondo.

Il mercato, invece, secondo gli operatori del commercio equo e solidale, dovrebbe ubbidire a questa celebre affermazione: “I prezzi non dovrebbero essere fissati al livello più basso possibile, ma a quello sufficiente per fornire ai produttori degli standard adeguati alle loro condizioni di vita.” Questa frase non è tratta da un manifesto definito “no global”, ma risale al 1944 ed è opera di John Maynard Keynes, uno degli economisti che più ha influenzato la storia del Novecento.

Questo affermazione però è capita dai soggetti che operano nel mondo solidale, e se i progetti dei Distretti di Economia Solidale riusciranno nella loro realizzazione ed espansione, allora qualcosa potrebbe cambiare, sia dal punto di vista prettamente economico, che da quello sociale.

La cosa importante di questo movimento è che attraverso i risultati economici arriveranno di conseguenza anche quelli sociali voluti dagli operatori dell’economia solidale, così che ci sia la possibilità da un lato di migliorare la nostra vita, e dall’altra di migliorare quella dei Paesi in via di sviluppo, i quali ci danno la possibilità di poter usufruire dei loro prodotti ad un prezzo che è sì maggiore rispetto ai prodotti delle grandi multinazionali, ma che è più trasparente e giusto sia per loro che per la terra in cui viviamo.

 

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Otromodo, Milano

Tavolo dell’Economia Solidale Brianza, Pesaro

Trentino Arcobaleno, Trento

 


[1] L. Guadagnucci, F. Gavelli, 2004, la crisi di crescita.

[2] Fonte EFTA, rapporto 2001.

[3] United Nation Development Programme.

[4] Sede della conferenza del World Trade Organisation (WTO).

[5] J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori.

[6] J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori.

[7] United Nations Conference on Trade and Development, organismo sussidiario dell’ONU con sede a Ginevra, fondato nel 1964, per lo sviluppo delle relazioni economiche tra i paesi industrializzati e quelli sottosviluppati.

[8] Bollettino Pangea, giugno 2001.

[9] Organizzazione Internazionale del Lavoro.

[10] Momenti di incontro per la ricerca di alternative che mirino a contrastare situazioni e meccanismi che suscitano indignazione a livello diffuso.

[11] L. Guadagnucci, F. Gavelli, 2004, la crisi di crescita.

[12] La rivoluzione delle reti.

[13] Gruppo di lavoro RES, 2005, progetto res.

[14] Gruppo di lavoro RES, 2005, progetto res.

[15] Esponenti gruppo DES, 2004, des.

[16] Gruppo di lavoro RES, 2004, progetto res.

[17] Esponenti gruppo DES, 2004, des.

[18] Gruppo di lavoro RES, 2005, progetto res.

[19] Esponenti gruppo des, 2003, des.

[20] R. Garrone, Turismo responsabile. Nuovi paradigmi per viaggiare in Terzo Mondo, RAM, Bologna 1997.

[21] F. Zani – Tecnologie Appropriate, Manuale per viaggiare con il cuore, Macroedizioni, Cesena 1996.

[22] A. Saroldi, 2003, costruire economie solidali.

[23] European Fair Trade Association, Fair Trade in Europe, 2001, EFTA 2001.

[24] G. Bologna, F. Gesualdi, La Rete di Lilliput, alleanze, obiettivi, strategie, 2001, la rete di lilliput.

[25] DESTO, 2003, carta dei principi.

[26] DESTO, 2004, progetto equal.

[27] L. Poma, Oltre il distretto.

[28] L. Poma, 2003, oltre il distretto.

[29] L. Poma, 2003, oltre il distretto.

[30] E.A. Mance, 2003, la rivoluzione delle reti. L’economia solidale per un’altra globalizzazione.

[31] A. Magnaghi, 2000, il progetto locale.

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